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15327333_xl_color_optdi Enrico Finocchiaro

Vi dicono qualcosa i mutui subprime? E i derivati finanziari? Sicuramente sì, dato che sono due dei principali fattori scatenanti della crisi finanziaria che ha portato al crac alcune importantissime banche d’affari statunitensi, causando un effetto domino ancora in atto in tutto il mondo. I mutui subprime erano strumenti di credito elargiti dalle banche americane con generosità a chiunque volesse dare in garanzia il valore della propria casa. Per proteggersi dall’elevato rischio che i creditori subprime non riuscissero a restituire quanto ricevuto, gli istituti finanziari crearono cervellotici strumenti di distribuzione del debito all’interno di obbligazioni ad alto rendimento, che dietro un complesso sistema di clausole si assumevano anche il rischio di default legato al credito.

La diffusione di questi cosiddetti derivati e l’esplosione della bolla immobiliare innescarono l’incendio in un sistema che si rivelò solido come un castello di carte. Tutti gli attori dello scenario finanziario occidentale ne sono usciti con le ossa rotte, dalle banche d’affari alle agenzie di rating che avevano sostenuto i loro prodotti finanziari spericolati con valutazioni generose, passando per i tantissimi grandi investitori istituzionali, gabbati come i più sprovveduti dei piccoli risparmiatori che si sono trovati un patrimonio di carta straccia in cassaforte.

Nulla di nuovo sotto il sole
Il buon senso suggerirebbe di connettere l’andamento dell’economia reale agli scambi finanziari. ma per qualcuno la speculazione continua a essere più vantaggiosa dell’investimento produttivo

Se la crisi ci ha insegnato una lezione, è che il traffico dell’economia reale e quello della finanza speculativa vanno a ritmi diversi, con la seconda che corre a una velocità di gran lunga più frenetica della prima. Così gli istituti bancari si sono adeguati, mentre famiglie e imprese rimangono al palo. Prendiamo ad esempio la situazione italiana. Siamo in recessione da due anni, l’Istat ha rilevato l’ottavo trimestre di seguito col Pil in perdita: -0,2% sul trimestre precedente e -2% su base annua. Il buon senso suggerirebbe che anche gli scambi finanziari dovrebbero risentirne. Invece, tra l’agosto 2012 e l’agosto 2013 l’indice Mib ha guadagnato oltre il 26%, come se si stesse investendo in un Paese con un’economia solida, fiorente e di sicuro avvenire.
E’ evidente che qualcosa non vada per il verso giusto. Il meccanismo che si è messo in atto, a ben vedere, è il medesimo che ha innescato il problema. La Bce e le banche centrali inondano di liquidità a condizioni favorevoli gli istituti di credito, che a loro volta devono fare profitto in uno scenario dove i tassi di riferimento sono molto bassi e i costi della raccolta del (poco) denaro dei risparmiatori sono alti. Così, alle banche non resta che la solita strada: investire nella finanza e buttarsi a capofitto nella prossima bolla speculativa.
Per famiglie e imprese questa situazione significa un blocco del flusso creditizio diretto al mercato privato e all’economia produttiva. Il risparmiatore che cerca di accendere un mutuo per la casa va incontro a una missione impossibile, e anche ottenere un finanziamento può diventare un’epopea. Anche per questo si va diffondendo il meccanismo delle carte di credito revolving, molto più semplici da ottenere per piccole somme ma a tassi di interesse esorbitanti, rilevati in media al 17%. Ma sono forse le aziende a soffrire maggiormente il credit crunch, vedendosi private di fondi per investire, anticipi di fattura o fido, spesso pur avendo i bilanci in perfetto ordine.

Banca etica
In questo contesto c’è chi ha scelto di fare banca in maniera diversa: perseguendo il bene comune, o perlomeno non inseguendo il profitto a tutti i costi

Un modo diverso di fare banca, vicino a chi muove l’economia reale, esiste: persegue il bene comune e non il profitto, o almeno non a tutti i costi. La Banca Popolare Etica, fondata nel 1999, è il più diffuso istituto di finanza etica nel nostro paese. «Per alcuni per definirsi etici è sufficiente non finanziare chi produce armi o altri prodotti lesivi o pericolosi. Altri si orientano soprattutto sul finanziamento di realtà attente alla responsabilità sociale e ambientale – spiega Mario Crosta, direttore generale di Banca Etica – La nostra banca però dà un’interpretazione molto rigorosa al concetto di finanza etica e ha scelto di sostenere, con il risparmio raccolto da imprese e cittadini responsabili, esclusivamente imprese sociali dedite alla cooperazione sociale e internazionale, alla tutela dell’ambiente, alla promozione della legalità, della cultura e dello sport. Ci occupiamo anche di microcredito, erogandolo per l’avvio di microimprese o nell’ambito socio-assistenziale per il sostegno a famiglie in difficoltà segnalate dai servizi sociali o dalle associazioni con cui stipuliamo apposite convenzioni». La congiuntura economica è impervia, ma si riesce a fare banca anche in questo modo, dato che i dati di Banca Etica parlano di una raccolta di risparmio che nel primo semestre 2013 è aumentata del 7% rispetto alla fine del 2012 e di tre nuove linee di credito aperte per finanziare imprese sociali.

Potrebbe essere proprio il microcredito uno degli strumenti più forti per rilanciare l’economia produttiva, mettendo a disposizione delle famiglie piccole cifre per venta priligy mexico spese impreviste, e offrendo ai giovani, agli esodati o alla massa di nuovi disoccupati una possibilità di riconvertire la propria professionalità e intraprendere iniziative di auto-impiego invece di aspettare occasioni dal mercato del lavoro che potrebbero non arrivare mai. Tuttavia il microcredito resta uno strumento messo a disposizione da un numero limitato di crediti cooperativi e banche illuminate, dato che è più redditizio concedere finanziamenti revolving. La maggior parte degli investitori del microcredito continuano a essere le organizzazioni non governative, ma un diverso modo di concepire la banca comincia ad attirare anche diversi soggetti istituzionali. «Banca Etica collabora attivamente con tutte le reti del terzo settore – spiega Crosta – ma anche con le associazioni del mondo cooperativo, da Legacoop a Confcooperative. Inoltre, molti enti locali sono nostri soci e con essi in alcuni casi sviluppiamo progetti comuni, come quelli per la concessione di microcrediti dell’ambito degli interventi di lotta alla povertà. Di recente, poi, abbiamo anche stipulato un accordo con Unioncamere».

Banche confessionali e di scambio
E’tempo di cercare alternative ai sistemi tradizionali: e se le soluzioni arrivassero aggiornando il concetto di baratto o ispirandosi a dettami religiosi?

Siete rassegnati all’idea che per una finanza onesta e alternativa ci si debba rivolgere al Cielo? Forse non avete torto. La finanza islamica, per esempio, è un sistema economico reale, fortemente condizionato dai dettami religiosi del Corano, ed è il modello rigidamente applicato dagli istituti di credito e dalle finanziarie di molti paesi mediorientali, come Libia, Egitto, Kuwait e Arabia Saudita. Quasi tutti questi soggetti finanziari operano anche sui mercati occidentali. Il principio di base è il divieto di guadagnare attraverso gli interessi, che sono considerati usura a prescindere dal tasso applicato: in sostanza, non è permesso il guadagno attraverso la speculazione, e si è obbligati a indirizzare i fondi verso investimenti produttivi e con scopi etici. Pertanto è vietato anche investire in armi o pornografia, per fare solo qualche esempio. Se pensate che questo possa limitare molto gli affari, dovete sapere che nel periodo 2003-2008 gli oltre 250 istituti finanziari confessionali presenti in 45 Paesi sono cresciuti in media a un tasso superiore del 15% annuo. E se i seguaci di Maometto si danno da fare, i servitori di Cristo non stanno a guardare. Non ci riferiamo a Papa Francesco e ai suoi problemi di riassetto dello Ior. Pensiamo invece alla chiesa d’Inghilterra, che ha lanciato un vero guanto di sfida alle società finanziarie che propongono prestiti a brevissimo termine e ad alto tasso d’interesse. L’arcivescovo di Canterbury in persona ha recentemente illustrato il progetto per la creazione di una catena di cooperative di credito in linea con le esigenze etiche della comunità anglicana.

Non è solo la religione, però, a poter fornire esempi di finanza parallela: esistono realtà che hanno saputo riabilitare pratiche antichissime come il baratto conciliandole con uno strumento moderno come la moneta complementare. È il caso di We Exchange, un circuito dove imprenditori, aziende e liberi professionisti possono acquistare prodotti e servizi semplicemente scambiandoli con quelli offerti da altri iscritti: non si paga in denaro, quindi, ma con il proprio lavoro, il proprio magazzino o il proprio know how. Rispetto al baratto, che comporta un rapporto uno a uno tra i soggetti coinvolti, c’è però il vantaggio della multilateralità grazie all’uso di una moneta complementare, il We: vendendo il proprio prodotto, l’imprenditore acquista un credito in We che può essere utlizzato per comprare qualunque altro bene o servizio all’interno del circuito. Una soluzione alternativa che permette alle imprese di non dover penare per ottenere crediti, e che aiuta anche a allestire nuove relazioni con potenziali clienti, partner e fornitori. L’idea ha da subito riscosso molto interesse tra gli imprenditori: in poco più di un anno, We Exchange ha aperto più di trenta agenzie sul territorio italiano ed è da poco sbarcata in Spagna. Segno che, per sopravvivere alle complicazioni della new economy, in tanti stanno cercando soluzioni più semplici e comprensibili per poter continuare a fare impresa.

Non è tutto oro
Anche nella finanza alternativa c’è chi prova a lanciarsiin giochetti speculativi, rischiando grosso per colpa di oscillazioni imprevedibili

La finanza alternativa però può presentarsi anche in maniera peggiore di quella ufficiale, ad esempio sotto forma di bolle speculative al limite dell’incredibile. è il caso delle monete virtuali, come la Bitcoin, concepita per comprare beni e servizi online. Scambiata inizialmente a pochi centesimi, è diventata in tre anni un bene rifugio che ha arricchito molti speculatori per caso, anche grazie alla possibilità di usarla per comprare armi, droga e ogni altra sorta di merce illegale sui siti nascosti del deep web. Ma è una speculazione frenetica, imprevedibile, in preda a variabili ignote. Un solo esempio: ad aprile la moneta digitale ha toccato in un solo giorno la vetta di 266 dollari, per crollare in poche ore a 105 ed attestarsi a 125. Nel momento in cui scriviamo il Bitcoin vale 103,56 dollari. Ma meglio non farci nemmeno un pensierino sopra: non avevamo detto di avere bisogno di una finanza etica e alternativa?