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C’è rumore di ruggine: è quello del vento che scompiglia le catene delle altalene e le aste a cui si aggrappavano i cavalli di legno, risalendo fino ai binari dell’ottovolante. È l’immagine di un enorme sogno schiantato al suolo ad aver reso per anni Coney Island la sinistra meraviglia che era – oppure, per dirla con Woody Allen, ”l’illusione di un grande mondo in cui tutti saremmo stati felici”. Prima del progetto di riqualificazione dell’area e della riapertura del parco – guidato tra l’altro da un’azienda italiana – quelle luci alla fine di New York sono state un tempio per milioni di americani, una lunga teoria di parchi di divertimento affacciata a un camminamento di legno lungo l’oceano. Un paese dei balocchi, un carnevale perpetuo che si è spento man mano che i newyorchesi scoprivano altre spiagge, e tutt’intorno nascevano i grandi parchi di divertimento a tema. È così che Coney Island è diventata un relitto, un monumento a un passato felice. Un monumento di grande fascino, sia chiaro: è come se in quel luogo fossero rimaste le tracce delle grida di gioia – o di terrore – di chi osava avventurarsi sui rollercoaster, e le gigantesche ruote panoramiche si fossero fermate, assieme alle statue di animali mostruosi, a fare la guardia a un posto dove non va più nessuno. Strano destino, quello dei parchi di divertimento. A resistere sono quasi solamente quelli a tema, meglio se abbinati a personaggi riconoscibili, come gli eroi Disney o il sorridente draghetto Prezzemolo di Gardaland. Quelli di derivazione circense, invece, hanno seguito quasi tutti la stessa parabola: gli anni di gloria, la decadenza fragorosa, il futuro nebuloso. La storia si è ripetuta anche in Italia, almeno due volte, con il LunEur di Roma e la Città Satellite – Greenland in Brianza.

Chi ha vissuto nella Capitale e ha più di vent’anni ricorda ancora i pomeriggi interminabili passati all’ombra della gigantesca ruota panoramica che ti dava il benvenuto non appena si sbucava dalla Colombo. Il parco di divertimenti meccanico più antico d’Italia era nato nel 1953 per la Fiera dell’agricoltura, e dal 1960 – l’anno delle Olimpiadi – si decise di tenerlo aperto in ogni stagione. Era un luna park che poco aveva a che vedere con quelli moderni, così ammodo e perbene: basta digitare LunEur su internet per imbattersi nelle memorie di adulti ancora terrorizzati, a distanza di anni, da horror houses o da giostre talmente estreme da trasformare un semplice giro in un rito d’iniziazione. Assieme alla malinconia però si trovano anche le tracce della lentissima agonia del LunEur: la chiusura nell’aprile 2008, una gara d’appalto per la riassegnazione dell’area, inizio dei lavori perennemente posticipati, la minaccia del circuito della Formula Uno all’Eur voluto dall’ex sindaco Gianni Alemanno, perfino un sarcastico taglio del nastro in occasione di una delle tante date annunciate per un’inaugurazione che non c’è mai stata. Uno psicodramma ancora senza fine: secondo il portale NoiRoma2013, la riapertura prevista per l’autunno sarebbe slittata di nuovo a causa di una vertenza giudiziaria per determinare i costi per la bonifica dell’area. Ciò che resta delle giostre, intanto, attende la fine della querelle.

Non è andata meglio in Brianza, dove negli anni ’60, il commendator Giuseppe Brollo aveva fatto nascere Città Satellite: un gigantesco luna park urbano stabile, con 374mila metri quadrati di attrazioni ai margini del parco delle Groane. L’area, di proprietà di una società con sede a Reggo Emilia, presto prese il nome di Greenland, e per anni è stato il Paese dei Balocchi per migliaia di bambini e famiglie della zona. Fino al risveglio, molto brusco. Nel 2002, a Pasquetta, giorno di riapertura dopo la pausa invernale, il Comune emette un’ordinanza di chiusura contestando la sicurezza degli impianti e il mancato rispetto delle norme igienico-sanitarie. È l’inizio di una guerra infinita, combattuta a colpi di lucchetti e carte bollate: in dieci anni si sono susseguite aste giudiziarie e ordinanze, ricorsi, cause per usucapione, battaglie sulla proprietà, sospetti di abusivismo sia per la pista dei go-kart che per un parcheggio in uso da decenni. Nel mentre, nonostante i divieti, la gente non ha mai smesso di entrare nel parco per picnic domenicali consumati su sfondi sempre più desolanti, tra giostre semidistrutte e rampicanti cresciuti sull’enorme ottovolante. Quattro anni fa, però, una speranza: spunta un progetto di riqualificazione, con un investimento di 23 milioni di euro e l’obiettivo di ripristinare il parco in tempo per Expo 2015. La pagina web che dovrebbe ospitare il sunto del progetto, però, è vuota. Dal Parco delle Groane dicono di non saperne molto, perché l’area è privata e farebbe capo a una società di Reggio Emilia, la Parco Giochi Groane srl. Dal comune di Limbiate, che ospita l’area del parco, trapela però che il progetto sarebbe ancora bloccato.

Ma cosa è successo a questi due luoghi di divertimento storici? Chi, o cosa, li ha condannati a diventare arrugginiti fantasmi del passato? Per Maurizio Crisanti, segretario nazionale dell’Anesv Agis, ente che tutela le imprese che svolgono attività di spettacolo o divertimento itinerante, a condizionarne l’esistenza sarebbero stati problemi burocratici: «In Italia – afferma – le municipalità non hanno grande attenzione a questi complessi». Un sunto sbrigativo, se si vuole, ma non del tutto distante dal vero. Basta sfogliare le pagine delle cronache locali, del resto, per rendersi conto delle resistenze fortissime che l’apertura di un luna park crea sia nelle amministrazioni comunali sia nei cittadini: non ultimo, il caso di Piacenza, dove la sede del parco di divertimenti provvisorio è stata spostata più volte prima di trovare una collocazione definitiva. Ancora una volta, si tratta di un fenomeno tutto italiano: «In Europa i luna park, come quello dell’Oktoberfest o della Feria di Siviglia, sono ancora ospitati nel tessuto urbano, perché in quei Paesi la festa è da oltre mille anni un fatto pubblico. La gente l’attende per un anno, e quindi è disposta anche a sopportare qualche disagio per pochi giorni – spiega Crisanti – La festa è centrale nella vita delle città e centrale è, di conseguenza, il luogo dove si pratica. In Italia, invece, gli amministratori locali sono molto più sensibili alla lettera di qualche elettore scontento, che alle esigenze degli esercenti itineranti, che tanto votano altrove». Una lotta praticamente impari, dunque: «Ci scontriamo con una cultura che vede il luna park come un fastidio – conclude il segretario nazionale Anesv – Eppure, anche il legislatore riconosce la funzione sociale di un divertimento che opera anche nelle località prive di altri luoghi di aggregazione». Possibile che la soluzione per evitare seccature sia quella di lasciar cadere tutto per poi immalinconirsi davanti alle rovine?

foto di Federica Cantrigliani