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Giocare d’azzardo non è per sé un male, se lo si fa in modo coscienzioso, sporadico e responsabile. Purtroppo però sempre più persone cadono nella spirale della ludopatia, un autentico disturbo del comportamento che porta all’ossessione verso il gioco d’azzardo e quasi sempre, di conseguenza, anche alla rovina finanziaria, personale e sociale. L’Italia è uno dei paesi dove le ludopatie proliferano. Le stime indicano dai 500 mila agli 800 mila individui con problemi legati alla dipendenza da gioco e altri due milioni a rischio. Inoltre si stima che nel nostro paese la spesa pro capite per il gioco stia intorno ai 1.800 euro annui. In tempi di recessione, la combinazione vincente viene vista come l’unica possibilità per una svolta del destino, la cieca alternativa alla frustrazione e ai debiti. Ciò che invece spesso accade nella realtà è che, in situazioni già disagiate, il gioco d’azzardo patologico segni il tracollo definitivo.

Chi diventa schiavo del demone del gioco d’azzardo non se ne accorge, o forse non vuole ammetterlo a sé stesso prima ancora che agli altri, come conferma Matteo Iori, presidente del Centro Papa Giovanni XXIII, da sempre in prima linea nella lotta alle dipendenze. «È la famiglia a individuare l’esistenza del problema, ma purtroppo spesso è anche l’ultima a scoprire una situazione diventata disperata, mentre il soggetto dipendente nega il problema, si sente solo sfortunato, e arriva ad ammetterlo solo in caso di un ultimatum familiare o di una perdita economica rovinosa». Quello del gioco d’azzardo patologico non è un problema circoscritto, ma un vero flagello che sembra allargarsi a macchia d’olio. In tutto questo, non è neanche scontato stabilire se il proliferare delle sale slot o delle agenzie per le scommesse sia la causa del problema o solo un effetto. Si sa solo che il gioco d’azzardo è l’affare del momento, ma che ogni nuova apertura di esercizi dedicati al gioco d’azzardo viene ormai vista come un attentato alla stabilità sociale di paesi e quartieri. Sempre più spesso infatti agenzie per le scommesse o sale slot che aprono i battenti vengono contestate da comitati cittadini spontanei o dalle stesse autorità comunali, che in realtà non hanno il potere di proibire attività di questo genere, perché le autorizzazioni sono di esclusiva competenza delle Questure.
Ci si potrebbe consolare con l’idea dello Stato biscazziere, che nel settore lascia mano libera ma incassa a pioggia per rimpinguare le casse pubbliche. Macché. Oggi in realtà la tassazione sui giochi d’azzardo è notevolmente più bassa che in passato mentre la quota riservata alle vincite è aumentata; e questo fa sì che i margini di guadagno per lo Stato si siano notevolmente abbassati: nel 2012 su 90 miliardi di euro spesi dagli italiani in giochi d’azzardo, lo stato ne ha incassati solo 7,9 (8,4% del fatturato). Nel 2004 quando il giro d’affari toccava a malapena i 24 miliardi l’erario incamerava appena 600mila euro in meno e quindi il 29,4% del fatturato. Il dato indica pertanto che a fronte di un fatturato aumentato di quasi il 400%, le entrate per lo stato sono sostanzialmente immutate. Queste cifre sono lo specchio di una strategia, che punta a offrire una quota di vincite più alte e diminuire la tassazione per contrastare il gioco d’azzardo illegale. Il gioco clandestino invece prolifera comunque, e si stima un giro d’affari sommerso di 10 miliardi di euro. A queste cifre bisogna aggiungerne però un’altra, drammatica, cioè i circa 6 miliardi di euro di costo sociale e sanitario che il gioco d’azzardo patologico impone alla collettività.
La legislazione italiana nel frattempo arranca. Il decreto Balduzzi, voluto dall’ex ministro della Sanità del governo Monti, ha introdotto qualche toppa, ma è ancora poco. In questo vuoto normativo sono gli enti locali che devono trovare qualche soluzione, in particolare le Regioni. Al momento la più attiva si è dimostrata la Liguria, unica a dotarsi di una legge regionale all’avanguardia, che impedisce la pubblicità ai locali dedicati al gioco d’azzardo, la loro apertura a meno di 300 metri da luoghi sensibili come scuole, ospedali e chiese, e offre poteri sostanziali ai Comuni per l’individuazione di ulteriori luoghi sensibili.
L’Emilia Romagna sta provando a muoversi nella stessa direzione, con la stesura di una propria legge che vede il consigliere del Pd Giuseppe Pagani come primo firmatario. «Proviamo a muoverci nel solco della legge ligure, che non è stata impugnata – spiega – Stiamo studiando anche sistemi premianti per gli esercenti che rinunciano alle slot e nuove iniziative educative. Speriamo di portare la legge in aula a metà giugno». Nel frattempo una cosa è sicura, quello che lo Stato incassa dal gioco viene in gran parte riutilizzato per lenire i costi sociali delle ludopatie. Ma cosa accadrà quando, di questo passo, i proventi del gioco d’azzardo non basteranno più a pagare i costi sociali delle ludopatie? Non arrivare a una situazione del genere sarà la vera scommessa per lo Stato.