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Era la stanza più polverosa che avessi mai visto. Qualcuno le aveva sottratto giusto lo spazio sufficiente per una porta, e poi ne aveva ricoperto tutte le pareti di vinili. Solo dischi, dal pavimento al soffitto. Entrarvi mi fece sentire come il protagonista di un film, in una di quelle scene in cui tutto diventa bianco e intorno si sente un coro di angeli. Sono passati anni, da allora, e ho trovato un altro posto per portare avanti la mia passione. Ma il punto è che chiunque abbia mai fatto radio potrebbe raccontare epifanie simili alla mia, tutte invariabilmente fatte di ricordi anche un po’ ridicoli (il caldo soffocante della saletta di registrazione senza finestre, il braccio del microfono che cede all’improvviso costringendoti a finire il parlato sdraiandoti sul mixer) e di devozione infinita. Me lo conferma anche Giacomo Iotti, uno dei quasi 40 ragazzi che quotidianamente costruiscono il palinsesto e la fortuna di Radio Rumore, la webradio dell’Università di Modena e Reggio Emilia. Una radio di cui – i conflitti di interesse, quando ci sono, è meglio ammetterli subito – fa parte anche l’autore di questo articolo, nonostante i suoi anni da studente universitario siano passati da un po’.

«Ho sempre fatto teatro, pensando che non avrei mai vissuto una passione più grande – racconta Giacomo – Poi però sono passato all’improvvisazione teatrale, ed è stato a quel punto che mi hanno fatto notare che sarei stato bravo come conduttore. Ho iniziato in una webradio senza sede: assieme ad altri ragazzi montavamo microfoni e mixer nelle nostre camere da letto, e poi prendevamo la linea». Una specie di epopea delle radio libere degli anni ’70 riadattata all’epoca del web. Arrivati a Radio Rumore, però, le cose cambiano: «Qui ho trovato una vera redazione, un vero studio, software seri da usare – racconta – Questo è un posto dove imparare tutto: come stare al microfono, come capire una notizia… È un’evoluzione pratica di Scienze della comunicazione, se vogliamo, e ancora non capisco come mai molti studenti siano così poco curiosi, e non siano mai venuti a vedere cosa facciamo qui». Qui, appunto, facciamo RUMoRe, si legge sulla porta degli studi di viale Allegri a Reggio Emilia, proprio accanto a una gigantografia della teen-pop star Justin Bieber marchiata con la scritta io non posso entrare. Ogni radio ha i suoi nemici, gli scherzi, i tormentoni che legano assieme chi fa parte dello staff. Ma dentro si fa sul serio: «Rumore nasce come un progetto del centro di e-learning dell’ateneo, ed è stata la prima webradio universitaria in Emilia-Romagna. L’università ha creduto nel progetto mettendo a disposizione il lavoro di almeno due persone, oltre a spazi e attrezzature». A raccontare la nascita di Rumore è Fabio Dolci, responsabile tecnico e delle news all’interno della radio; assieme alla station manager Valentina Ferretti, alla speaker Roberta Bedogni e ad Adriano Arati, che si occupa della programmazione musicale, è uno dei referenti del progetto. Radio Rumore nasce nel 2009, a diversi anni dalle esperienze pionieristiche di altri atenei come la storica Facoltà di Frequenza di Siena, che ora ha chiuso i battenti. Fa parte della seconda ondata, se così si può dire, dopo che «il progetto Unionair di Radio 24 aveva invitato le università italiane a dotarsi di una webradio, e ha organizzato corsi di formazione dando consigli sulla gestione tecnica e burocratica». Tanto è bastato – racconta Fabio – «per far nascere in tutta Italia diverse radio universitarie, tutte via web e generalmente gestite dall’ufficio stampa di ateneo. Qui invece siamo sì sostenuti dall’università, ma manteniamo anche una forte autonomia decisionale sui contenuti». Tutto questo si traduce in un modo diverso di fare radio rispetto alle classiche stazioni Fm: «Non gestiamo la programmazione in base ai dati d’ascolto – afferma – e questo ci permette di realizzare contenuti molto vari e non riconducibili a un’identità rigida, tutti con uno stile piuttosto informale. Abbiamo circa quindici format originali, tra cui anche un giornale radio di ateneo: i programmi non sono sufficienti a coprire tutta la giornata, e circa 15 ore di palinsesto sono coperte da musica in rotazione». Questo dato obbliga a considerare altri parametri per verificare il successo della radio: «I nostri ascolti live non sono molto rilevanti: chi si collega in diretta lo fa perché cerca un programma ben preciso – rivela Fabio – Dove siamo molto forti è invece sui podcast: alcune puntate, anche quelli di programmi non più in palinsesto, hanno totalizzato più di mille ascolti. Insomma, funzioniamo poco come live e molto bene come radio on demand».

Dietro ai format ci sono ore e ore di lavoro, collaborazioni alle parti tecniche, scambi che avvengono da un programma all’altro. E nel palinsesto c’è spazio per tutto, dalle letture teatrali di Prima della sera all’intrattenimento leggero, da sguardi molto originali sulla musica alle riletture storiche in chiave hip-hop di Pimpami la storia, per arrivare alle rassegne sugli appuntamenti settimanali de Il divano non vincerà, la cui conduttrice Giulia Giordano ha appena vinto il premio come miglior voce al recente Fru, il festival delle radio universitarie. Alcuni di questi programmi resistono da anni, come nel caso di La domenica ti lascio sempre solo. «Ricordi la canzone di Rita Pavone? Lì c’era una donna che si lamentava perché il suo uomo andava allo stadio: noi, invece, siamo due donne e parliamo di sport, e quindi siamo noi a lasciare sempre soli gli uomini, alla faccia delle occhiate sospettose riservate al genere femminile quando si occupa di calcio e affini – racconta ridendo Jessica Barbieri, anima del programma assieme a Valeria Ruozi – Esistiamo da quattro anni, siamo il programma più longevo della radio. Tutto è iniziato da un mio stage pre-laurea, al termine del quale ho proposto il format: abbiamo deciso di parlare solo degli sport maggiori e di concentrarci sulle aree di Modena e Reggio Emilia. Tutto ruota attorno all’ospite della puntata, che viene subissato di domande decisamente irriverenti». Col tempo il programma è cambiato, e non solo dal punto di vista dei contenuti: «Siamo più concentrate sull’intrattenimento che non sullo sport – conferma Jessica – Chi ci ascolta conosce l’ospite, o segue la sua squadra, ed è curioso di sapere che figura gli faremo fare. Inoltre l’arrivo di una persona fissa in regia ha portato grandi miglioramenti tecnici, e abbiamo anche provato a integrare nel programma una parte video con la piattaforma Ustream».

Il programma, proprio come Rumore, continua a cercare nuovi sbocchi. La webradio collabora già da tempo con Fotografia Europea e con il Viaggio della Memoria di Istoreco, e da quest’anno lavora anche con m2o a un format dove le varie radio universitarie portano contributi dal loro territorio. E non è tutto: Rumore sarà presto impegnata nella conduzione delle serate live agli Insomnia Studios, nell’organizzazione del concorso Sputnik Rock per band emergenti e, forse, vedrà nascere una succursale a Modena. Davanti a tutta questa attività, non è forse logico che questi ragazzi – che lavorano in radio da volontari – sognino di trasformare la loro passione in un lavoro? «Lo vorrei tantissimo: ho mandato curricula a tutte le radio della zona, ma spesso senza risposta – ammette Jessica – A me piacerebbe crescere all’interno di Rumore: abbiamo molte persone che restano in radio anche dopo la laurea, sarebbe bello diventare una sorta di spin-off. Anche per l’università potrebbe essere un ottimo investimento». Giacomo, però, non è d’accordo: «Ovvio, sarei felicissimo se la radio diventasse il mio lavoro, ma non qui. Io e altri del nucleo storico abbiamo imparato tanto a Rumore, e la collaborazione con RadioReggio per Caffè scorretto ci ha dato per la prima volta l’opportunità di lavorare per una settimana intera, costantemente, a un programma. Ma resto convinto che questo sia un progetto formativo, e che tale debba rimanere – afferma – Anche chi non è più un universitario spesso rimane qui per formare altre persone: chi è qui da più tempo sa più cose, e aiuta. Ed è per questo che non penso mi staccherò mai del tutto: tornerò sempre a vedere cosa succede qui».