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di Tatiana Salsi

Manif Sidel 21 marzo 1_opt

Si è arrivati alla resa dei conti: senza lavoro e con un’industria dilaniata l’Italia non si rialzerà facilmente. E anche l’Emilia-Romagna guarda molto da lontano i fasti del passato. In province vocate al manifatturiero come Reggio Emilia, Modena e Parma la crisi ha colpito duramente il tessuto produttivo. Nel 2012, in regione, le ore di Cassa integrazione guadagni (Cig) sono state complessivamente oltre 92 milioni, e hanno interessato maggiormente il settore meccanico-ceramico, la filiera degli elettrodomestici e una parte della meccanica agricola. Ma la Cig non può essere utilizzata oltre i 36 mesi in cinque anni e molte aziende, piccole e grandi, si trovano ormai alla resa dei conti. L’anno è cominciato con il mancato finanziamento della cassa in deroga da parte del governo. Poi i soldi sono arrivati, ma in quantità nettamente insufficiente, e questo ha significato per migliaia di lavoratrici e lavoratori rimanere senza integrazioni salariali. Finiti gli ammortizzatori sociali, il futuro per molti è segnato dall’incertezza.

Cgil lancia l’Allarme
«Una cosa mai vista», esordisce Guido Mora, segretario generale della Cgil di Reggio. Per ora i numeri sono solo ipotesi, ma la portata del disastro è chiara a sindacalisti e imprenditori. «Se la mobilità in deroga non viene prorogata, una volta terminati gli ammortizzatori – precisa Mora – tantissime persone rimarranno senza sussidio. Per questa ragione bisognerebbe parlare seriamente del reddito di cittadinanza, un tema che prima era marginale ma che oggi è quanto mai importante, perché ha un ruolo di impulso nella ripresa del ciclo economico. Finora la politica ha mostrato una certa miopia». L’impatto più duro, spiega ancora il segretario, «ci sarà a distanza di pochi mesi dall’arrivo degli arretrati della cassa in deroga, tra l’estate e l’autunno. L’effetto positivo finirà alla svelta, poi il rischio sarà quello di un disastro sociale che travolgerà l’economia». Si profila quella che il segretario provinciale della Fiom Valerio Bondi ha definito «una desertificazione industriale». Le aziende sono sempre più in difficoltà e i rapporti con le banche sempre più tesi. «Siamo piombati in un circolo vizioso – continua Mora – che deve essere interrotto con strategie forti, programmando investimenti, anche pubblici. Serve una strategia di politica industriale nazionale. Da dove si prendono i soldi? Combattendo l’evasione fiscale, combattendo la corruzione e ridistribuendo la ricchezza».

DSC01327_optSe Reggio piange, Modena non ride
Nel Modenese si vive una situazione ancor più pesante. Gli iscritti ai centri per l’impiego aumentano con il passare dei mesi e i lavoratori che si trovano davanti alla scadenza della cassa integrazione sono oltre 14mila. Per Pasquale Coscia, responsabile delle Politiche del lavoro della Cisl, «dal punto di vista occupazionale la situazione è davvero molto critica». «Nel primo trimestre 2013 – spiega Coscia – gli iscritti ai Centri per l’impiego sono già il 3,89% in più rispetto all’anno precedente (12.795). E sono soprattutto donne». Il dato della Cassa integrazione straordinaria (Cigs) sembra inarrestabile: nei primi quattro mesi dell’anno il numero delle ore richieste ammonta già a quasi tre milioni. «Stiamo accedendo a tutte le opportunità – continua Coscia – per tenere in vita rapporti di lavoro molto a rischio», ma ormai mancano le opzioni. Il senso di abbandono tra i 9.452 iscritti alle liste di mobilità è alto. «Oltre a loro – precisa Coscia – ci sono altri 5mila lavoratori che sono fruitori di ammortizzatori sociali in deroga». Che fare dunque? Oltre al rifinanziamento degli ammortizzatori sociali in deroga, all’abbassamento delle tasse sull’impresa e sul lavoro, alla defiscalizzazione della produttività, Coscia insiste sulla necessità di sostenere ricerca, innovazione e formazione, e suggerisce poi un patto di comunità tra istituzioni, associazioni d’impresa e sindacati dove – dice – «far confluire tutte le risorse per rilanciare il lavoro e rilanciare l’impresa».

Effetto Fornero
Nel cuore della Food Valley, nella città dove è nata l’Efsa (autorità europea per la sicurezza alimentare), il dato complessivo del ricorso alla cassa integrazione nel 2012 è nettamente inferiore alla media regionale. Questo grazie alla tenuta di settori come l’agroalimentare e il farmaceutico, che sono il perno dell’economica locale e coinvolgono grandi aziende. Le ferite sono state dunque meno profonde, ma la crisi si sente. Eccome. E l’allarme disoccupazione cresce: «Ci aspettiamo un dato del 6,4%-6,5% – spiega Giuseppe Braglia della segreteria confederale della Cgil di Parma – contro un 3,8% nel 2012. Lo scorso anno abbiamo perso 1.634 posti di lavoro». E le preoccupazioni non mancano neppure nei settori che finora hanno retto ai duri colpi della crisi. I sindacati cercano di mantenere il più a lungo possibile i lavoratori legati alle aziende, ma ora manca il terreno sotto i piedi perché, con la riforma Fornero, le protezioni sociali sono state nettamente ridotte. Lo scenario è il disastro sociale. «Avremo disperati – dice con preoccupazione Braglia – che non hanno e non trovano lavoro. Bisogna fare qualcosa subito. Nessuno deve essere lasciato solo». Si tratta di rimuovere ciò che intralcia la crescita, ovvero «l’eccessiva burocrazia, i costi eccessivi dell’energia, il malaffare, l’evasione fiscale, la lentezza della giustizia civile. Bisogna rivedere il prelievo fiscale, investire sull’istruzione e la ricerca, organizzare piani formativi per chi perde il lavoro».

IMG_4173_optWhy not?
Lo scenario descritto non è un brutto sogno, ma realtà, e rialzarsi è un obbligo. Perché le storie di moltissimi sono storie di paura e anche di indigenza. Tra le ipotesi sul tavolo per una riforma di uno stato sociale che mostra evidentemente la corda, si fa molto parlare, in questi ultimi tempi, di reddito di cittadinanza e reddito minimo garantito. Su la Voce.info, Tito Boeri e Roberto Perotti hanno cercato di fare chiarezza sui due termini, che spesso vengono utilizzati come sinonimi, ma che sinonimi non sono. Il reddito di cittadinanza (basic income guarantee) è un sussidio universale e non subordinato, mentre il reddito minimo garantito (guaranteed minimum income) è sì universale ma contemporaneamente selettivo: garantito in maniera condizionata, richiede un reddito al di sotto di una data soglia, ed è limitato nel tempo, oltre a essere condizionato alla disponibilità di accettare un’offerta di lavoro o di partecipare a programmi di formazione. Non un mero costo, ma potenzialmente un investimento. Si può fare? Secondo i due economisti un reddito minimo garantito di 500 euro mensili richiederebbe risorse tra gli 8 e i 10 miliardi di euro. Certo, richiederebbe anche e soprattutto una riorganizzazione e razionalizzazione della spesa per la protezione sociale.