Skip to main content

Nella tua ricerca il paesaggio ha sempre avuto un ruolo centrale, dai Secret gardens ai recenti Landscapes. Al di là di alcune opere, non hai mai pensato di realizzare un’intera serie di notturni? Quale significato associ alla notte?
Sono tanti anni che rifletto sulla notte, un po’ perché costituisce il momento della giornata in cui lavoro più assiduamente, un po’ perché renderne bene l’atmosfera magica non è affatto semplice. Sarebbe una sfida avvincente. Di notte il paesaggio metropolitano diventa innaturale, le forme non sono più scolpite dalla luce del sole, ma da quella artificiale, le ombre impazziscono e solo alcuni dettagli – quelli illuminati – emergono, conferendo allo scenario un tono simile a quello che caratterizza le mie immagini, completamente costruite in grafica 3D e dunque artefatte.

Come nasce una tua opera?
Il mio lavoro nasce dall’osservazione del mondo partendo dall’attualità. La continua navigazione in rete mi permette di rappresentare ciò che leggo con icone simboliche. Una volta che nella mia mente si è materializzata l’immagine, devo tradurla in fotografia e per farlo disegno ogni singolo elemento con vari software provenienti dal mondo dell’architettura e del cinema. È un lavoro meticoloso, che richiede moltissimo tempo, poiché prima debbo creare virtualmente uno scenario e poi muovermi al suo interno, alla ricerca della giusta inquadratura.

L’uso della grafica 3D ha portato i cosiddetti puristi della fotografia a non considerarti come un fotografo…
Ci sono puristi della fotografia che si prodigano nello stabilire regole e limiti entro i quali muoversi. Questo atteggiamento è sostanzialmente in contrasto con il fatto stesso che la fotografia è un’arte con una forte componente tecnologica e quindi soggetta, per definizione, a continue trasformazioni, quali l’avvento del colore e del digitale. Le infinite possibilità offerte dalla nascita di nuovi software, che permettono di lavorare anche con un semplice smartphone, hanno completamente ribaltato l’approccio alla fotografia, acuendo il bisogno di porre barriere da parte di chi la ritiene un’arte rimasta congelata agli anni che furono. Questa sorte non è toccata al cinema, nonostante i punti di contatto siano molti. Nessuno ha mai messo in discussione cosa fosse cinema e cosa no, neppure quando apparve King Kong sull’Empire State Building, che dubito proprio ci si fosse davvero arrampicato sopra! Così nessuno si sognerebbe di escludere ET o i mostri di Guerre Stellari, né tanto meno il pluripremiato Avatar, nel quale, come nelle mie immagini, non c’è nulla di reale. Sembra proprio che queste polemiche riguardino solo la fotografia e solo alcuni esponenti, forse incapaci di confrontarsi con l’evolversi delle tecniche e dei linguaggi.

Tra i temi ricorrenti nella tua produzione, ci sono l’ambiente, i cambiamenti climatici e la ricerca di modelli di sviluppo alternativi. Un dibattito molto attuale, che a partire dalla metà degli anni ’90 hai deciso di tradurre in arte, precorrendo i tempi…
In passato ho trascorso molto tempo in montagna, facendo l’alpinista e fotografando il paesaggio. Quando poi sono tornato a vivere in città, decidendo di percorrere la strada della fotografia, il contrasto tra la natura montana e la città caotica mi ha mostrato con chiarezza i paradossi della nostra società e la direzione verso la quale stiamo andando. Un percorso che, se non verrà modificato, ci porterà alla rovina. Nelle prime serie (Agglomerati e Paesaggi) la mia ricerca verteva sullo sviluppo caotico e insostenibile della metropoli contemporanea. Poi sono venute le Scene, in cui l’ambiente inizia a subire i segni forti della nostra civiltà, quindi le Fusioni e le Aque, che mostrano le conseguenze dell’inquinamento e del dissennato uso delle risorse naturali. Con la serie dei Gardens, la natura si riprende il suo spazio fagocitando la città, ma lasciando anch’essa la scena nei Landscapes. Credo che ogni cittadino, e quindi ogni artista, non possa non confrontarsi con queste problematiche, che rappresentano un nodo centrale nel futuro della nostra civiltà.

Negli ultimi mesi hai lavorato soprattutto su spazi metafisici, ma la tua ricerca comprende anche luoghi metaforici, nei quali l’architettura evoca l’uomo.
La mia ricerca oscilla tra due elementi contrapposti: la città intesa come metafora dell’uomo, e la natura intesa come spazio imprescindibile in cui l’uomo si muove e agisce, subendo le conseguenze delle sue scelte.

Progetti in cantiere?
Dopo circa dodici anni di ricerca, nel 2008, è stato pubblicato il libro The Chronicles of Time (Damiani), con testi di Luca Beatrice e dell’archistar Norman Foster. Questa pubblicazione ripercorreva in senso cronologico la mia ricerca, dall’inizio sino ai Secret Gardens. Dopo cinque anni, è giunto il momento di proporre un nuovo racconto per immagini che vada ad accompagnare una serie di saggi di architetti, urbanisti, ingegneri, politici e altri attori della società, con lo scopo di contribuire attivamente alla sensibilizzazione verso un necessario cambiamento di rotta.

Nei prossimi mesi, dove potremo vedere le tue opere?
A Vienna, al Leopold Museum. Fino a luglio, una mia opera (quella di apertura, ndr) sarà esposta nell’ambito della collettiva Clouds, insieme a opere di Monet, Cézanne, Klimt, Munch, Magritte, Adams, Stieglitz, Steichen, Kiefer e molti altri.

Quando non lavori?
Mi dedico alle mie passioni assolute: il giardinaggio e la vela. E ai miei peggiori vizi…

 

courtesy of Guidi&Schoen