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Alcuni hanno un aroma rotondo e si possono degustare in Autogrill sotto forma di Storie di caffè. Altri sono itineranti, come quelli narrati da giovani fruitori del servizio di trasporto pubblico di Reggio Emilia, che sono stati raccolti da Act con il titolo Racconti in viaggio. Anche in Italia comincia a trovare applicazione la narrazione d’impresa, o corporate storytelling, la disciplina che mette l’arte del racconto al servizio della comunicazione aziendale. Non si tratta di un revival delle soap opera o degli spot pubblicitari a puntate, ma di un modo nuovo di appellarsi all’immaginario dei propri stakeholders, rendendo la comunicazione dell’identità aziendale un’esperienza magica, per l’impresa e per il pubblico. I racconti, infatti, piacciono a tutti, grandi e piccini, a chi fa cinema e a chi fa impresa. E rappresentano la forma di comunicazione insieme più evoluta e primitiva che imprenditori, politici e moderni cantastorie hanno a disposizione per costruire, raccontare e far raccontare la propria storia di successo.

Esiste un antidoto agli sbadigli che si diffondono a macchia d’olio nelle sale riunioni? Come migliorare la digeribilità di una pubblicazione infestata da numeri e grafici? Come trascinare nei negozi e alle urne milioni di persone? Semplice: raccontando una storia. Un buon racconto tiene alti i cuori, semplifica la complessità del reale e non si dimentica facilmente. Sembra fantascienza e invece è semplice psicologia: «L’uomo – ci dice Andrea Fontana, docente di storytelling e narrazione d’impresa all’università di Pavia e presidente dell’Osservatorio nazionale di Corporate storytelling – è un animale narrante. Il nostro pensiero e la nostra memoria hanno una struttura narrativa, per cui comunicare narrativamente rappresenta un sistema di coinvolgimento profondo».

L’uomo è a caccia di storie che conferiscano senso alle azioni sue e degli altri, e l’impresa narrante risponde a un desiderio antico, radicato nella natura umana: quello di sentirsi raccontare una storia. «Le persone ne hanno Sehnsucht (desiderio struggente, ndr)», confida Sylvia Reckel, direttore del personale presso Windwärts Energie, azienda tedesca attiva dal 1994 nel settore delle energie rinnovabili e presente anche in Italia (Windwarts Energie srl). È soprattutto ai primi anni dell’azienda che s’ispirano i racconti che Sylvia Reckel mantiene vivi in azienda: «All’inizio della nostra storia, una fornitura energetica rinnovabile era di per sé una visione. I nostri racconti parlano dell’essere visionario, dell’abbattere i pregiudizi, del credere in un’idea e nelle proprie forze per realizzarla. I dipendenti ne sono affascinati e li tramandano ad altri». Windwärts ha costruito la propria visione d’impresa a partire dalle esperienze positive dei dipendenti, rievocandole e raccontandole. L’attenzione nei confronti delle personei è rappresentata anche plasticamente in una tradizione aziendale che si rinnova ogni anno: i dipendenti si dispongono su una linea del tempo immaginaria, secondo la data della loro assunzione, e in questo modo la crescita aziendale e il sogno dei fondatori diventa concreto.

«Nel video di presentazione del nuovo MacBook Pro – racconta Alberto Pian, docente del Master Unituscia in e-Learning e Apple Distinguished Educator – lo stesso Jonathan Ive richiama l’attenzione su dettagli tecnici poco rilevanti da un punto di vista di marketing. Lo fa per raccontare la passione di chi, letteralmente, dà vita a un prodotto genuinely new». Un simile racconto induce designer e utenti finali a condividere lo stesso destino, incarnato dal prodotto e dai valori che ispira. La narrazione dischiude frontiere impossibili per la comunicazione tradizionale. Indica ma non dice, rivela ma non definisce, non informa ma ispira: è una forma evoluta di comunicazione integrata che affida il messaggio al destinatario e lascia che sia lui ad attribuirgli significato. Per questo il metodo dello storytelling ben si presta alle attività di envisioning: il racconto consente di costruire una visione per l’impresa e per chi vi lavora e di gestire l’identità aziendale nel tempo.

Ettore Chiurazzi, direttore di CaruccieChiurazzi, agenzia di comunicazione che da anni fa Impresa d’autore, ci racconta che uno dei fondatori di Farmalabor, dopo aver partecipato al progetto L’eleganza del riccio, utilizza ancora oggi per presentare se stesso e la propria azienda l’incipit della rappresentazione che lo ha portato sul palcoscenico del Teatro Puccini a Milano. E questa non è l’unica esperienza di storytelling che l’agenzia di Chiurazzi ha affidato a forme di espressione artistica performative: per riposizionare il sistema Italia in occasione di un evento fieristico in Macedonia, ha messo in piedi una rappresentazione teatrale in lingua che ha avuto un grande impatto emotivo sugli spettatori. Chiurazzi è convinto: «Il metodo dello storytelling applicato alla valorizzazione dei territori ha un grande potenziale».

Certo, affinché un racconto abbia significato occorre che qualcuno lo ascolti: una questione critica – mamme e professori lo sanno. «Un buon racconto parla al cuore – riflette la Reckel – Ci sono eroi, difficoltà da superare, eventi straordinari. Ma anche il come si racconta è importante». Fontana condivide: «Lo strumento condiziona profondamente il messaggio. È necessario saper declinare il racconto in funzione del pubblico e del medium utilizzato». Nel 2010 l’associazione britannica Sussex Safer Roads vinse vari riconoscimenti internazionali per aver saputo fondere in maniera magistrale content e media in 90 secondi di campagna per la sicurezza stradale. Il risultato? Embrace life, un video che fa venir voglia di abbracciare stretta stretta la vita.

«Un racconto funziona solo se la storia che lo precede è genuina, se l’impresa a cui la storia appartiene è sana, basata su rapporti umani di qualità, che producono un’offerta di valore», completa Pian. In caso contrario si generano facilmente contro-racconti, che si moltiplicano rapidamente online e offline. «Un racconto coerente con la storia d’impresa non viene modificato», ammonisce Fontana. Tuttavia l’impresa non deve soffocare in alcun modo i contro-racconti, preziosi indicatori di come la sua identità evolva nella percezione collettiva.

Il racconto quindi è anche un prodotto dello spazio e del tempo: la storia del suo successo riflette la cultura e lo Zeitgeist prevalente. Al tempo stesso, se la storia scrive il racconto, il racconto fa la storia: abbiamo paura del lupo perché abbiamo letto Cappuccetto Rosso; la seconda guerra del Golfo è iniziata perché ci hanno raccontato che Saddam Hussein sosteneva al-Qa’ida. «I racconti cristallizzano la nostra identità e predeterminano la nostra azione. Se un popolo frequenta sempre le stesse narrazioni, chiude il suo immaginario collettivo, definendo per sé un certo destino. Oggi abbiamo bisogno di nuovi racconti, nuovi immaginari, nuove storie», conclude Fontana, che riconosce grande responsabilità a chi fa narrazione.

C’è chi questa responsabilità se l’assume, come Intesa San Paolo, che con il progetto perFiducia racconta le forze positive che animano il nostro paese. Agli altri viene in soccorso la collana Storyline, con la quale Fontana propone letture dedicate alle scienze della narrazione per fornire gli strumenti per avvicinarsi con professionalità al corporate storytelling. Perché narrare è una scienza, o un’arte: l’arte di tornare alle origini, ai tempi del mito, al tempo del racconto.