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Quanti siti Internet visitate ogni giorno? Immaginate se per ciascuno, invece di una semplice stringa di testo (come il nostro www.imprenditori.it) vi toccasse imparare a memoria un numero come 46.51.174.24. Questo codice, composto da quattro cifre comprese tra 1 e 255, è l’indirizzo IP, quello che identifica ogni sito (e ogni computer) connesso alla rete. Ad occuparsi della decodifica di tali indirizzi in stringhe intelligibili per un essere umano è il cosiddetto sistema dei domini o, in inglese, DNS (Domain Name System): dobbiamo immaginare una specie di rubrica mondiale che associa un dominio ad ogni indirizzo IP, e senza la quale il web come lo conosciamo oggi non esisterebbe.

All’inizio di quest’anno, il sistema dei domini è finito sulle pagine di tutti i giornali quando l’ente che lo gestisce, l’Icann, ha approvato la vendita dei domini di primo livello (TLD, Top Level Domain). Avete presente le ultime sillabe di un indirizzo internet, dopo il secondo punto? Se fino ad ora ne sono esistite solo 22 declinazioni, in futuro questo elenco potrà crescere all’infinito: i domini potranno terminare con qualsiasi parola, in qualsiasi alfabeto (anche cinese, cirillico e arabo), compresi i marchi delle aziende. Il bando di assegnazione di questi domini di primo livello è scaduto in questo mese di aprile: a maggio l’Icann rivelerà la lista dei nuovi domini registrati. «Si tratta di una decisione che apre Internet all’immaginazione umana», ha dichiarato il presidente di Icann, Rod Beckstrom.
Certo, anche all’intuito per il business dato che un buon dominio può arrivare a valere anche cifre a sei zeri: lo sa bene il signor Michael Kovatch, che nel 1995 registrò l’indirizzo iPhone.com per costruire un negozio virtuale di cellulari; l’indirizzo nel 2007 si rivelò un piccolo tesoro, acquistato da Apple per un milione di dollari.

La liberalizzazione dei domini di primo livello porta però con sé parecchi potenziali problemi. Da un lato c’è il rischio truffe: l’autorità bancaria europea, l’Eba, ha chiesto ad Icann di non assegnare domini come .bank o .fin, denunciando «un grande rischio di nuove frodi» nei confronti degli ignari risparmiatori, che percepirebbero questi siti come appartenenti ad istituzioni affidabili, mentre in realtà potrebbero essere registrati e gestiti da «individui senza scrupoli». Dall’altro c’è il problema della difesa dei marchi registrati: i processi per il cosiddetto cyber-squatting (il furto di domini corrispondenti a nomi o marchi famosi) sono aumentati del 2,5% solo l’anno passato, arrivando a coinvolgere ben 4.781 siti, il 90% dei quali ritenuti dai giudici in mala fede. Vittime, negli anni, sono stati celebrità come l’attore Tom Cruise e il calciatore Wayne Rooney, o multinazionali come Barclays Bank e Nestlè. Persino Google ha vinto nel febbraio scorso una causa contro 32 domini che approfittavano dei refusi del suo indirizzo (come Gougle.com o Go0gle.com). La Icann ha lavorato per arginare questo pericolo, per esempio istituendo un arbitrato per tracciare i marchi registrati, in grado di risolvere immediatamente i contratti in caso di infrazione. Si ritiene inoltre che la quota, piuttosto elevata, da pagare per registrare uno dei nuovi domini (ben 185mila dollari) possa da sola scoraggiare i furbetti. Ma il rischio di aumentare a dismisura questo tipo di casi è reale.

Un anticipo lo si è avuto all’inizio di quest’anno, quando è nata l’estensione .xxx, specifica per i siti porno. Ovviamente è stata un successo: Icm Registry, proprietaria di questo dominio, ha già incassato oltre sei milioni di euro solo per le registrazioni dei 100mila siti iscritti nel primo giorno, che dovrebbero raggiungere quota 500mila entro l’anno. Ma in tre mesi sono già stati tredici i casi di pirati che hanno aperto un sito a luci rosse utilizzando i nomi di aziende o persone del tutto estranee. Famoso è quello che ha riguardato Sir Richard Branson: il patron dell’universo Virgin ha vinto una causa contro il cyber-squatter australiano Sean Truman che aveva acquistato senza autorizzazione il dominio Richardbranson.xxx.

Problemi a parte, nel 2012 è certamente cominciata una nuova era per Internet, che eliminerà definitivamente il rischio di saturazione. Almeno, per i domini. Quanto agli indirizzi IP, infatti, i quattro miliardi disponibili con il protocollo IPv4 sono ufficialmente terminati già da un anno. E per evitare la fine della rete, è nato un nuovo e più evoluto standard, l’Ipv6. Ma questa è un’altra storia…