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L’entusiasmo nelle loro voci è palpabile: viene davvero voglia di partire subito, mollare il piacevole salotto all’aperto di Piazza Prampolini, per vedere da vicino le meravigliose montagne che gli alpinisti che ho di fronte descrivono con parole emozionanti, senza mai farsi mancare la battuta che alleggerisce nel ricordo anche i momenti più faticosi. 50 giorni e gli 8000 metri del Gasherbrum per quattro reggiani (di montagna): Nicola Campani, Fabrizio Silvetti, Samuele Sentieri e Massimo Ruffini.

Nella vostra spedizione si sono fusi molti aspetti, oltre all’impresa sportiva, anche la missione di solidarietà e la sperimentazione di nuove attrezzature. Come avete costruito questo progetto?
Nicola Campani: «Durante una precedente spedizione nel 2008 abbiamo provato sensazioni così forti che non potevamo non ripartire. Così è iniziata oltre due anni fa la ricerca, non facile, di collaborazioni e sponsor interessati al nostro progetto, nel quale abbiamo investito finanziariamente anche noi, curando in prima persona anche la logistica e la burocrazia. Questo infatti non è il nostro lavoro, ma abbiamo preferito organizzarci attraverso contatti diretti: arrivati sul posto, poi, le nostre preoccupazioni si sono dissolte a contatto con un popolo accogliente e amichevole, e ci è stato assegnato un efficientissimo ufficiale di collegamento militare, che faceva da interprete, gestiva la logistica e risolveva problemi. Prima di partire, invece, un celebre alpinista pakistano, responsabile dell’agenzia che ci ha aiutato per la logistica, ci ha segnalato la struttura cui abbiamo portato in prima persona un aiuto economico, raccolto grazie alla notorietà della spedizione».

Fabrizio Silvetti: «Fondamentale è stato il contributo di Koinos Cna e Luxferov, che ci hanno dotato di pannelli fotovoltaici da far invidia alle altre spedizioni che abbiamo incontrato. Gioielli tecnologici in grado di funzionare con ogni condizione climatica, al caldo sole del giorno come con le nuvole e la neve, senza contare la possibilità di trasportarli nello zaino grazie alle contenute dimensioni».

Come ci si prepara, fisicamente e mentalmente, ad una impresa simile?
FS: «L’attività fisica per noi è quotidiana: si può raggiungere una preparazione ottimale praticando la corsa in montagna, ciclismo e scialpinismo. Le difficoltà tecniche non sono elevate, ma è necessario avere una forte determinazione a proseguire nonostante gli ostacoli della stanchezza, del freddo, o della propria mente. Bisogna sopportare la sofferenza e concentrarsi sulla giornata affrontando gli imprevisti, senza demoralizzarsi per la strada da percorrere».
NC: «Bisogna conoscere i propri limiti, fare un passo indietro prima di rischiare la propria vita e quella degli altri, ma anche lavorare in squadra e farsi coraggio, senza accampare scuse, per non vanificare il lavoro fatto insieme. In questo modo si condividono le fatiche ma anche le emozioni: in vetta sono saliti solo Fabrizio e Samuele Sentieri, è come se ci fossimo stati anch’io e Massimo Ruffini».

Come erano organizzate le vostre giornate durante la spedizione?
NC: «Nei giorni di riposo si inizia alle 6 di mattina ripulendo la tenda dalla neve caduta durante la notte (si arriva anche a -20°), e durante la giornata (che può scaldarsi fino a 30°), si riorganizza l’attrezzatura. C’è chi scrive o legge, chi pianifica le attività accordandosi con le altre spedizioni, chi fa escursioni; poi si va a dormire intorno alle 21. Per sentirci un po’ più a casa abbiamo cercato di portare con noi le nostre passioni e anche i nostri sapori intensi: soprattutto il Parmigiano!»
FS: «Nelle giornate di salita alle 4 di mattina si parte e si sale quasi tutto il giorno, ad esempio per montare un campo in quota, e poi o si dorme lì, o si rientra al campo base, e si ripete la procedura salendo ogni volta per abituarsi alla quota. Noi siamo saliti senza portatori e senza ossigeno supplementare, con zaini da oltre 20 chili, fin dove ci consentivano le forze».

Quali sono i ricordi più belli?
FS: «Tra i tanti, oltre all’incontro con il responsabile dell’orfanotrofio, l’arrivo al Circolo Concordia, uno dei posti più belli del mondo, dove ti ritrovi circondato dalle montagne altissime e splendide del Karakorum, con diversi cime oltre gli 8000; e in mezzo un fiume di acqua verde cristallina. Quando arrivi lì, dopo la fatica del trekking, ti assale un’emozione incredibile e inaspettata, fino alle lacrime».
NC: «É una natura prepotente che ti ridà la tua dimensione. Ricordo con molto piacere anche il portatore pakistano che abbiamo soccorso e che poi è venuto a ringraziarci, abbracciandoci con le lacrime agli occhi».

Un aspetto che avete curato molto è stato quello della comunicazione tramite blog e social network.
FS: «Abbiamo tentato di portare con noi virtualmente tutto l’Appennino reggiano. Non è facile trovare la forza di scrivere alla fine della giornata, distillando le emozioni, ma per noi erano incoraggianti i commenti dei lettori, quindi abbiamo tentato di coinvolgerli il più possibile senza esagerare in tecnicismi e senza far trasparire i momenti di sconforto».

Quanto è cambiata la vostra vita dopo la spedizione?
NC: «La vita quotidiana non così tanto, anche se è davvero piacevole sentirsi chiedere di condividere le emozioni provate, e raccontare la spedizione. Dal punto di vista psicologico è un’esperienza che ti forma, alza la tua soglia di tolleranza, migliora il tuo approccio con gli altri e ricalibra i tuoi valori, liberandoti dalla sovrastruttura e dal superfluo che ci impone la vita urbana: una sensazione di alleggerimento e rafforzamento».
FS: «Quello che mi stimola è soprattutto la ricerca del limite, ed il fatto che queste attività portino a guardarsi dentro…»
NC: «Si, gettare la maschera, essere se stessi e pensare all’essenziale: cosa che tra l’altro i locali fanno ogni giorno, col sorriso, in condizioni di vita durissime».

Lo rifareste? Qualche programma per il futuro?
NC: «Ripartiremmo subito, ancora di più ora che abbiamo già dimenticato la fatica, e resta solo l’emozione».
FS: «Dobbiamo ancora consultarci con gli altri, ma prepareremo sicuramente qualcosa. E ci auguriamo che questo sport si apra sempre di più ai giovani, grazie anche a sponsor lungimiranti come i nostri».