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Se si dovesse condensare il nuovo libro di Stefano Benni in una sola frase si dovrebbe ritornare al filosofo reggiano Learco Pignanoli che nelle sue Opere complete (Aliberti editore) osservava: “Se non c’è niente da ridere vuol dire che non c’è niente di tragico, e se non c’è niente di tragico, che valore vuoi che abbia”. Così Stefano Benni, uno scrittore che in quanto a risate ha dell’imbattibile, in questo suo ultimo libro uscito per Sellerio si concentra piuttosto sul dolore, narrando una storia che pare ambire a dire l’indicibile, continuamente sospesa com’è tra la durezza della vita quotidiana e i labili confini di una dimensione onirica.

Il racconto ha inizio nella cornice di un Natale anni Cinquanta. L’eroe della storia, Morfeo, ha otto anni e vive “l’età meravigliosa dell’infanzia senza morte, dove la morte è nascosta ma non parla e non si fa vedere”. Seduto di fianco alla finestra, Morfeo sta mangiando frutta secca “fracassando sarcofaghi arachidei” quando una persiana “pesante come una bara” cade e lo colpisce in testa, facendogli rischiare la morte. Morfeo si salva ma entra nelle grinfie dei medici, alter ego della morte ma più pericolosi perché, a differenza della morte, pensano ai soldi che provengono dalla malefica alleanza con l’industria farmaceutica. Morfeo riceve così una diagnosi frettolosa e si ritrova dipendente dai medicinali.

L’arrogante dottor Poiana che sbaglia diagnosi per sicumera e il vile dottor Ossicino che non osa dire la sua sono due incarnazioni di una medicina tesa al profitto (“la terza industria del mondo, dopo le armi e il petrolio”) a cui Benni riserva per tutto il libro critiche feroci (“milioni di miliardi l’anno, come dieci stati africani. E di questi guadagni spendevano solo il cinque per cento per la ricerca, per cercare medicinali nuovi e più sicuri, non solo efficaci e anestetici e felicizzanti”).

Al fianco di Morfeo c’è Gadariel, un angelo cattivo e dalle ali nere, personaggio ambiguo e pieno di fascino: rivoluzionario, ubriacone, attaccabrighe, malato (tant’è che quando Morfeo oramai adulto entrerà in una clinica di disintossicazione se lo troverà tra i compagni di stanza), è un angelo caduto per condividere con gli uomini tutto, fino a un destino misero e, soprattutto, mortale.
Nella clinica di disintossicazione Morfeo trova anche un altro angelo, Elpis, a volte bambina e a volte giovane donna, che lo affianca in un epilogo che via via assomiglia sempre più a un delirio fantastico e commovente del protagonista.

“Un angelo non c’è sempre. Se no, non è un angelo. La sua prerogativa è che qualche volta arriva e qualche volta ti abbandona. Ecco l’essenza, la traccia dell’angelo”. Un Benni dolente, dunque, creativo come sempre nel linguaggio e sofisticato nella prosa, ma con un pensiero rivolto alla morte. Non solo ai suoi più sordidi sostituti, tra cui, in prima fila, la medicina e i suoi inganni, ma anche e soprattutto alla dignità con la quale le si resiste.