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Luisa Brunori, direttore del Centro Interdipartimentale di Ricerca e di Intervento sui Gruppi e fondatrice dell’Osservatorio Internazionale sulla Microfinanza dell’ateneo bolognese, ed è referente di nuovo progetto imprenditoriale: WIN WIN. Prendendo ispirazione dall’esperienza della Grameen Bank di Yunus, questo originale esempio di social business vuole promuovere un modo diverso di fare impresa, un modo capace di garantire benefici a tutti coloro che partecipano al processo economico, Comunità inclusa. L’abbiamo incontrata nel suo ufficio, un pomeriggio di una caldissima giornata di fine agosto. In giorni affannati dal caldo e assetati di nuove visioni per il futuro, un incontro “rinfrescante”…

Professoressa Brunori, che tipo di business vuole proporre WIN WIN, l’iniziativa imprenditoriale in via di costituzione di cui è referente?
Essenzialmente sono tre le iniziative che svilupperemo attraverso Win win: la realizzazione di progetti nell’area del microcredito per superare l’esclusione sociale, la commercializzazione di una linea di abbigliamento realizzata da artigiani del Bangladesh su progetti italiani, e quella di “Micropoli”, un gioco da tavolo attraverso il quale insegnare economia ai bambini suggerendo un approccio opposto a quello di Monopoli. L’idea è quella di trasmettere il concetto di economia secondo il senso etimologico della parola (dal greco oikos, casa e nomos, norma), ovvero come “regola della casa, della convivenza”, come responsabilizzazione sui desideri altrui, come capacità di tenere conto – a fronte di un numero limitato di risorse – anche dei bisogni degli altri. Sono tutti e tre esempi di social business, ovvero, di attività sviluppate per trovare soluzioni ai problemi della Comunità attraverso un modello imprenditoriale, un tipo di business che mette in moto in maniera virtuosa le risorse, creandone di nuove.

Come nasce l’idea di WIN WIN?
Il progetto parte dalla comprensione di quanto l’economia sia un fenomeno relazionale. E in particolare da due riflessioni fondamentali: dal pensiero dell’economista bengalese Amartya Sen, che vede nello sviluppo delle capacità delle persone (capabilities) la ricchezza di un paese, e dal microcredito, secondo il quale fondamentale è il concetto di “gruppo di riferimento”. Nel microcredito, infatti, il denaro è in realtà quasi un pretesto, perché la cosa grande che accade è piuttosto ciò che si crea a livello di relazioni e di sviluppo delle capacità individuali. Io insegno Psicologia dinamica dei gruppi e questo concetto mi è sempre stato chiaro: è dalle relazioni che si riescono a creare all’interno del gruppo che dipende il rendimento di ciascun individuo. Proprio a tal proposito ho elaborato il concetto di “economicità del gruppo”: si tratta della capacità che il gruppo può avere di sviluppare una quantità di potenzialità e di risorse teoricamente infinita restituendole a ciascun membro. Altro punto di partenza è poi la riflessione sulla “teoria dei giochi”. Secondo questa teoria qualunque situazione in cui si sviluppano relazioni tra individui è potenzialmente conflittuale. Il modo in cui il conflitto si può risolvere fa la differenza nelle relazioni sociali, umane e politiche. Sono essenzialmente quattro: tutti perdono (loose – loose), uno vince e l’altro perde e viceversa (win – loose) e, infine, la situazione in cui tutti vincono (win – win). Quest’ultimo è il caso in cui ciascuno trae vantaggio dalla convivenza. La mia esperienza di psicologa dei gruppi, applicata alla clinica, vede nel gruppo orientato ad un sistema relazionale win – win le condizioni per la creazione di un cambiamento degli individui verso soluzioni di maggior benessere psichico per ciascuno. Ho quindi pensato: perché tutto questo non può diventare impresa? Perché non creare un tipo di business in cui nessuno perde, ma tutti possono guadagnare e non solo in termini monetari? Da qui, è nata l’idea di creare WIN WIN.

Quando si parla di microcredito si pensa solitamente a paesi in via di sviluppo. WIN WIN propone progetti di finanziamento in Emilia Romagna: che tipo di efficacia può avere in questo contesto il microcredito?
Il microcredito in situazioni di indigenza ha mostrato la sua efficacia migliorando situazioni di povertà ed esclusione sociale. I poveri, che solitamente sono persone trasparenti, – trasparenti perché persone che nessuno vede – attraverso il microcredito hanno cominciato a diventare visibili. Il microcredito può essere applicato anche nei cosiddetti paesi economicamente più sviluppati per prevenire o ridurre l’esclusione sociale, promuovendo lo sviluppo del potenziale e dell’autostima nelle categorie marginali della società, aiutandole così ad emergere, a mostrarsi. Questo va di pari passo con lo sviluppo di un welfare che non “fa la carità”, ovvero, che non investe risorse dissipandole, ma che innesca un processo virtuoso in cui investire risorse per generarne di nuove.

Ci sono già stati progetti di microcredito nella nostra regione?
Sì, abbiamo già sperimentato il microcredito sul territorio regionale all’interno di un gruppo di persone affette da psicopatologie, in collaborazione con il Centro di salute mentale del Distretto Sanitario di Carpi. L’idea era quella di coinvolgere nel progetto persone “in carico” al servizio di salute mentale utilizzando una metodologia ispirata al modello Grameen, fortemente concentrata sul legame sociale attraverso la valorizzazione dei gruppi solidali e delle comunità. A queste persone, per la loro condizione di “pazienti psichiatrici” prive delle garanzie per accedere ai normali canali finanziari, è stata data la possibilità di ricevere piccoli prestiti, rimborsabili in rate settimanali. Il progetto è iniziato con la lettura in gruppo del libro di Yunus Il banchiere dei poveri, il testo nel quale vengono spiegate le basi del funzionamento del microcredito. Sa cosa è successo? Tutti i partecipanti hanno cominciato a lavorare e alcuni di loro hanno fatto richiesta di un prestito. Attraverso le occupazioni rese possibili grazie a questo prestito, che hanno investito queste persone di nuove speranze e responsabilità, una parte di loro ha avuto meno bisogno di ricoveri e psicofarmaci che normalmente assumeva, il che ha significato un “guadagno” per loro e un risparmio per la Comunità. Questo è un perfetto esempio di una soluzione “win – win”. Da questa situazione ci hanno guadagnato le persone, che sono state meglio, e la Comunità che ha dovuto investire meno risorse per la loro salute. La forza del microcredito sta proprio nel permettere di sviluppare le risorse di ciascuno e di dare la possibilità a tutti di emergere e di “essere in grado di”.

Il microcredito e le capabilities sono spesso indicati come alternativa all’attuale sistema economico-finanziario centrato sul PIL, oramai sempre più in crisi. Lei cosa ne pensa?
Questo sistema economico basato sul PIL è un sistema che produce esclusione sociale e che tende, per estrema ratio, a produrre relazioni guerresche con il rischio che tutto collassi. Una valutazione della ricchezza soltanto in base al PIL è ovviamente riduttiva. Quale indice per valutare il benessere di un paese si sta per questo diffondendo sempre più l’indice di sviluppo umano (HDI – Human Developement Index), che tiene conto anche di altri importanti fattori come il livello di istruzione, la qualità dell’ambiente… Anche ragionare in termini di “win – win” significa mettere in conto più variabili, oltre al guadagno economico per sè. Significa tenere conto anche di valori come la sicurezza e pensare, ad esempio, che se qualcuno si fa male al lavoro chi ci perde sono tutti, anche il datore di lavoro. Ha presente il discorso di Robert Kennedy sul PIL? è incredibile pensare che è stato pronunciato nel ’68, quarant’anni fa e che siamo ancora allo stesso punto. Io, comunque, rimango convinta che un modo diverso di far funzionare le cose sia possibile.
Dobbiamo però lavorare per realizzarlo!