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Le troviamo all’esterno dei palazzi istituzionali, delle sedi delle multinazionali ma anche appese ai balconi di molte case in questo anno di celebrazione patriottica. La maggior parte ha una storia, e ce ne sono alcune entrate letteralmente nella storia, come quella piantata sul suolo lunare da astronauti del secolo scorso, a dire “USA batte URSS 1 a 0”. Alcune altre hanno “solo” ragioni estetiche e sventolano colorate nelle strade di un paese in festa. Le bandiere sono oggetti che popolano la nostra quotidianità e che per questo diamo quasi per scontate. Ma c’è qualcuno che con le bandiere si è inventato un business, fino a diventare leader di settore. Si chiama Paola Rossi ed è titolare di Ba.Fa. Bandiere, azienda con sede in provincia di Modena. Premiata nel 2009 come migliore fra le “Donne che lasciano il segno“ di CNA, Paola Rossi si presenta nelle vesti di imprenditrice di successo, determinata e competente (una “problem solving” eccezionale, la definisce il figlio). Noi le abbiamo chiesto di parlare anche della sua vita privata, degli affetti e di quando incontrava Enzo Ferrari.

Complimenti per il vostro sito internet: i testi sono molto curati e la grafica essenziale ma d’impatto. E’ lei a supervisionare i lavori?
Ovviamente sì. Abbiamo iniziato ad investire nel web più di dieci anni fa: questo per noi, è il terzo sito internet. Mi piace cambiare, rinnovare: è importante soprattutto quando si tratta di comunicazione.

Concordiamo, ma si renderà conto di essere un’imprenditrice atipica, in questo senso…
Mi rendo conto e lo dico con rammarico perché se da una parte è vero che un’azienda si basa sulla qualità del prodotto, altrettanto importante è saperlo mettere sul mercato, con un’immagine accattivante e una visibilità adatta al mercato globale. Oggi è impensabile, soprattutto per una Pmi non possedere una vetrina internet a supporto del proprio lavoro. Io quest’intuizione, l’ebbi nel 1998…

A proposito di precorrere i tempi, lei era giovanissima quando iniziò a fare questo lavoro: perché le bandiere?
E’ vero, all’epoca avevo 18 anni e un negozio di articoli da campeggio da promuovere e che volevo far conoscere: ho pensato alle bandiere perché danno visibilità, attirano l’attenzione e si possono mettere ovunque. Ebbene, cercai un’azienda che producesse bandiere personalizzate, senza trovarla. L’idea nacque proprio così, dall’intuizione che fosse un mercato con una domanda potenziale forte, ma pochissima offerta.

Oggi, con la globalizzazione dei mercati, le prospettive sono cambiate, non trova?
Ah certo, al tempo si poteva pensare di inventarsi un mestiere e i risultati non tardavano ad arrivare: oggi si dovrebbe puntare maggiormente sulla ricerca, sull’istruzione, sui giovani. Mi accorgo invece che per un giovane la sfida è quella di rimanere in questo Paese: quante menti brillanti stiamo lasciando andare all’estero, mentre dovremmo tenerle qui e dare loro vere opportunità.

Ma torniamo ancora all’inizio. Era la fine degli anni ’70, nessuno produceva bandiere in Italia, anche perché erano tutte cucite a mano e quindi si doveva conoscere la tecnica: lei come l’ha imparata?
All’inizio mi ha insegnato un’amica poi, quando l’ho perfezionata, ho comprato la mia prima macchina da cucire professionale. Oggi i tessuti vengono quasi sempre stampati, ma una bandiera cucita a mano rimane ancora molto apprezzata da chi cerca un prodotto artigianale e di grande qualità. La tecnologia ha fatto passi da gigante in questo senso, ma non bisogna dimenticare che ad insegnare alla macchina, è sempre la mano dell’uomo.

A proposito di uomini, ho incontrato suo marito prima e sono curiosa: lavorare insieme, croce o delizia?
Direi delizia, almeno nel nostro caso. Vede, mio marito è una di quelle straordinarie eccezioni che confermano una regola sacrosanta: quella cioè che in amore, la competizione e la costrizione – soprattutto – distruggono il legame e andrebbero abolite per principio. Detto questo, lui ha sempre desiderato che mi realizzassi e l’ha dimostrato: mi ha sempre spronata a non mollare, a rischiare, a credere in quello che stavo facendo. Questo è un insegnamento prezioso, che abbiamo tramandato anche a nostro figlio.

Thomas, 27 anni: lavora con lei?
Da cinque anni, per la verità: ha lasciato gli studi per seguire l’attività di famiglia in un momento molto delicato per noi. Nonostante la sua giovane età, è stato capace di prendere in mano la situazione con grande senso di responsabilità, dimostrando di essere pronto, senza nemmeno saperlo.

Che tipo di rapporto avete con i vostri dipendenti?
Siamo una famiglia e me l’hanno più volte dimostrato: sacrifici, lavoro duro e condivisione delle soddisfazioni, sono gli ingredienti fondamentali del successo della ricetta.

Cosa la fa arrabbiare di più?
Quando le cose non mi vengono dette direttamente in faccia, ma alle spalle o per interposta persona: mi manda letteralmente in bestia.

Voi siete fornitori ufficiali di Ferrari: che ricordo conserva di Enzo Ferrari?
Una persona squisita che mi ha trattata con grande rispetto fin dal nostro primo incontro, quando nel 1983 mi chiamò per il Primo Ferrari Day: ho un ricordo indelebile e molto bello, di quegli anni.

Ce lo consiglia un libro sul comodino?
“Il Dio delle piccole cose” dell’indiana Arundhati Roy (una delle figure guida, del movimento mondiale anti-globalizzazione, ndr).

foto di Bruno Cattani