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Laptop, tablet, cloud computing. L’informatica oggi significa dispositivi che diventano sempre più potenti e occupano sempre meno spazio, talmente piccoli da poter stare in una tasca, se non addirittura essere completamente virtuali. È davvero difficile riconoscere in questi device e software una relazione con gli enormi e costosissimi calcolatori a valvole degli anni ‘50. Da allora è trascorso poco più di mezzo secolo, ma l’evoluzione della tecnologia ha visto susseguirsi un numero di generazioni equivalente a qualche centinaio di anni della storia umana prima del silicio.

Ora, se possiamo forse considerare acquisita la constatazione sull’inedita velocità di sviluppo dell’informatica, ciò che non è scontato è il valore scientifico della disciplina che si occupa di ricostruire origini e storia delle tecnologie. Perché l’hardware invecchia velocemente e viene dimenticato, spesso rottamato. Il software è codificato in formati che diventano presto obsoleti. La documentazione si perde e a volte è incompleta in partenza. Perciò, esattamente come fanno gli archeologi con cocci e frammenti, papiri e iscrizioni, questi studiosi di occupano di valvole e vecchi software.
Ed è in Italia – a Pisa per la precisione – un sito di archeologia informatica di particolare interesse: proprio qui, infatti, nel 1957, venne realizzato il primo calcolatore digitale made in Italy. E non stiamo parlando della nota Calcolatrice elettronica pisana (Cep), che fu completata nel 1961. Conosciuto come Macchina ridotta (Mr), il calcolatore di cui si occupa il progetto di ricerca Hmr (Hackerando la Macchina Ridotta), fu costruito quattro anni prima proprio per verificare le soluzioni che sarebbero state adottate per la Cep definitiva. Da qualche anno a questa parte, un gruppo di studiosi dell’Università di Pisa ha riscoperto questa importante eredità, tentando di rimettere in funzione questo glorioso strumento per comprenderne appieno la tecnologia e il funzionamento.
Hmr nasce nel 2006 dalla passione e dalla cocciutaggine di Giovanni Cignoni. «Ero alla ricerca di un sistema interessante da simulare, come caso di studio, e mi orientai sulla Cep, della quale conoscevo già l’esistenza – racconta – Cominciai a cercare negli archivi, pensando di trovare facilmente del materiale, invece mi trovai di fronte a una documentazione frammentaria e inesplorata. Questo non fece altro che incuriosirmi ancora di più, tanto da inaugurare un percorso di ricerca laterale». Un paio di anni più tardi, mentre Cignoni ottiene i primi risultati, il professor Fabio Gadducci tiene la prima edizione del corso di Storia dell’informatica all’Università di Pisa: «Secondo la vulgata Pisa sarebbe la culla dell’informatica italiana perché qui è nato il progetto iniziale della Cep. La memoria dettagliata e specifica della più antica Mr si era quasi completamente perduta». Naturale, per i due, iniziare a lavorare insieme.
La ricerca si snoda tra gli archivi dell’Università, del Cnr e della Olivetti – la multinazionale, interessata a entrare nel nascente mercato dei calcolatori, aveva partecipato con un finanziamento di 50 milioni di lire al progetto Cep. Ma gli originali della Mr, nel tempo e nei vari traslochi, sono andati persi, e la documentazione rimasta è scarsa, complicata dal fatto di riferirsi a due versioni differenti del calcolatore, che risalgono rispettivamente al ‘56 e al ‘57. L’unica soluzione per ricostruire il puzzle è il laboratorio: «Ci siamo affidati al metodo, ormai riconosciuto, dell’archeologia sperimentale – spiega Cignoni – Abbiamo cercato di ricostruire la tecnologia facendo delle ipotesi basate sulla documentazione tecnica in nostro possesso e poi ne abbiamo verificato il funzionamento con esperimenti». Il principale elemento di novità introdotto dal progetto Hmr nella ricostruzione delle vicende della Cep è proprio la competenza tecnica. «Di fatto – prosegue Cignoni – la rilevanza della Mr nella storia dell Cep è stata sottovalutata perché gli storici, non avendo specifica conoscenza della materia, non si erano potuti affidare alla documentazione tecnica». In un paio d’anni il gruppo di ricerca giunge ai primi risultati: simulatori delle due versioni della Mr, e persino la ricostruzione fisica e funzionante di una piccola porzione del calcolatore «Il nostro budget è di qualche decina di migliaia di euro l’anno – confessa Gadducci – Questo ci consente di costruire piccole componenti, come il primo pezzo della Mr: un addizionatore a 6 bit, che calcola fino a 32+32… Oggi fa un po’ sorridere. Speriamo però di ricostruire anche altre parti importanti come la console, costituita da una serie di bottoni e pulsanti che ben dimostrano quanto sia migliorata oggi l’interfaccia utente dei calcolatori».
Roba da geek? In realtà si tratta dello studio di un importante capitolo della storia della tecnologia, non solo per il nostro Paese. La Macchina ridotta era infatti un dispositivo che inglobava le prime implementazioni in assoluto di tecnologie sviluppate all’estero, come il controllo microprogrammato. Spiega Cignoni: «In sostanza, dal ‘57 al ‘60 si passò dai calcolatori dei primordi ai calcolatori come li pensiamo oggi, allora ancora grandi e costosi, ma moderni come funzioni e interfaccia utente. Il gruppo pisano, che aveva iniziato nel ‘55, in due anni con la Mr fu capace di allinearsi allo stato dell’arte della fine del periodo primordiale; poi però rimase indietro, perchè i finanziamenti non erano sufficienti per mantenere la Cep definitiva. è una bella lezione di come genio, impegno e fantasia, virtù nazionali spesso sopravvalutate, non siano sufficienti per l’innovazione». Certo è che da questo progetto – che all’epoca, tra lo scetticismo delle istituzioni, si assicurò il sostegno eccellente di Enrico Fermi – ebbero origine il primo gruppo di informatici italiani (tra cui la prima donna, Elisabetta Abate), il corso di laurea a Pisa, tutta la ricerca informatica del Cnr, il primo calcolatore commerciale Olivetti (Elea 9003) e persino intere aziende come la Società Generale Semiconduttori, nata per costruire transistor, e oggi (STMicroelectronics) uno dei più grandi produttori al mondo di semiconduttori. Ma, come dicevamo, in seguito il contesto della ricerca internazionale accelerò mentre in Italia i finanziamenti diminuirono e, continua Cignoni, «i risultati successivi, benché assai celebrati, non furono altrettanto brillanti».
La Mr è stata usata da subito anche come strumento di calcolo a servizio della ricerca e il fatto che esista un manuale d’uso dell’epoca dimostra l’intenzione di favorirne l’uso anche all’esterno del gruppo di ricerca della Cep. «La Mr divenne un laboratorio formativo sull’uso e l’architettura dei calcolatori, sfruttato dai ricercatori dell’Infn – prosegue Cignoni – ma anche uno strumento per servizi di calcolo per altri progetti di ricerca». Oggi, questo calcolatore ricostruito dai ricercatori viene messo a disposizione degli studenti più giovani nel Museo degli strumenti per il calcolo dell’ateneo pisano: «Essere la culla dell’informatica italiana è uno dei punti fondanti di Pisa – chiosa Gadducci – E poter mettere a disposizione degli appassionati queste macchine è anche un business turistico. Tutto ciò ha una valenza didattica e divulgativa: i calcolatori si possono esplorare e toccare con mano, cosa che per esempio non è possibile, con un Mac attuale, che nessuno può comprendere da cima a fondo. Passeggiare all’interno della sorella maggiore della Mr, la Cep, e vedere degli armadi giganteschi che corrispondono a memorie di 8 Kb, fa impressione. E affascina parecchi: i numeri del Museo negli otto mesi di apertura del 2011 sono stati stupefacenti».