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Artista_ Virginiana Miller
Titolo_ The unreal McCoy
Etichetta_ Santeria / Audioglobe
Anno_ 2019

Di scrittori che all’improvviso abbandonano la lingua madre è piena la storia della letteratura moderna. Webzine e giornali traboccano di cantautori che si baloccano con metriche non immediatamente familiari. Eppure, il passaggio dei Virginiana Miller dall’italiano all’inglese – all’alba del settimo disco e dopo essere spariti per sei anni, perdipiù – è una di quelle mosse che lasciano interdetti, almeno sulla carta.
Sarà perché certi testi di Simone Lenzi, con la loro precisione nell’evocare ricordi e anacronismi, sono nel cuore di chiunque conosca un minimo la storia del rock indipendente italiano degli ultimi vent’anni. Sarà che lo stesso Lenzi da anni scrive libri sorprendenti – è dal suo debutto letterario, La generazione, che Paolo Virzì ha ricavato uno dei suoi film più riusciti, Tutti i santi giorni. Insomma, se mai c’è stato un gruppo da cui non ci si sarebbe mai aspettato il gran rifiuto alla lingua italiana, questi sono proprio i Virginiana Miller.
Davanti alle note di The unreal McCoy, però, ogni timore svapora in pochi minuti, anche se l’ambientazione cambia completamente: esca il Lungomai di Livorno, ed entri un’America immaginata, ricreata dettaglio dopo dettaglio fino a essere più vera del vero. Uomini abbandonati, strade sparate dritte nella notte, insegne al neon, l’ossessione per le armi: non manca nulla per dipingere un ritratto che, in fondo, avevamo già in testa. Anche la musica si sposta di conseguenza, passando da polveri country-rock a tensioni elettriche memori dei National. La cartella stampa, a ragione, cita la Malesia immaginata da Salgari senza mai muoversi da Torino: quello raccontato dai Virginiana Miller è un altro mondo, reale quanto un set cinematografico o un’invenzione letteraria, al quale finiamo per credere senza riserve.