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Oltre 60 miliardi di euro in meno. Una cifra monstre di cui negli ultimi tre anni le nostre imprese hanno dovuto fare a meno perché le banche hanno smesso di erogare prestiti per quel valore. È il numero più significativo del rapporto dell’Ufficio Studi della CGIA di Mestre tratto dall’analisi dei dati della Banca d’Italia ed è la misura esatta di cosa significhi in termini pratici la crisi, che non è solo una parola a effetto, ma evidentemente un macigno. Un macigno che non ha risparmiato nessuno da Nord a Sud, quando parliamo di trasferimento all’economia reale. Anzi, se la regione prima in questa triste classifica in termini percentuali è il Molise (per cui il credit crunch ha segnato un -13,1%), secondo la CGIA di Mestre è in realtà più pesante il -10,7% registrato dal Veneto. Dove le banche non sono state a loro volta risparmiate: Popolare di Vicenza, Veneto Banca, ma anche Antonveneta che è stata incorporata dal Monte dei Paschi nel 2013. Alle aziende dell’operoso veneto sono stati tolti 10,8 miliardi di euro. Solo la Lombardia ha sofferto di più con il taglio di 15,9 miliardi (vale la pena considerare, scrive sempre la CGIA, che in Lombardia ci sono il doppio delle aziende rispetto al Veneto).

La media nazionale del credit crunch è del -6,8%. Ma nessuna area del Paese è stata risparmiata, dicevamo. Nelle Marche, il credito è calato del 10,4% (ovvero -2,7 miliardi di euro), in Calabria del 9,7%, pari a -857 milioni di euro e in Emilia Romagna del -9,1%, che per quella regione significa 9,2 miliardi di euro. E la causa, come per il Veneto, è da ricercare nelle banche: negli istituti pieni zeppi di sofferenze che giocoforza non riescono a far fluire il denaro verso le imprese per via delle regole stringenti rispetto al capitale.

Poi c’è l’altra faccia della medaglia: le richieste di prestiti da parte delle imprese sono scese dello 0,8% (dati di Crif al primo semestre), che nel secondo trimestre per le sole società di capitali diventa un crollo del 4,1% (flat invece le domande delle imprese individuali). Questo dato, se confrontato con quello di Crif Ratings sulle dinamiche delle obbligazioni di piccola taglia, ovvero fino a 100mila euro, al minimo storico di 80 milioni e il 72% in meno rispetto a un anno fa, potrebbe essere un segnale molto negativo per quella che tutti salutano come una ripresa dell’economia già avviata. Perché al di là di quello che dice la variazione del PIL, se l’economia reale resta al palo, la ripartenza è sempre più complessa. E se l’economia reale non domanda credito, non ha progetti di sviluppo e non cresce, c’è poco da stare allegri.