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COSA FANNO DUE INGLESI CHE ARMEGGIANO CON UNA MACCHINA A VAPORE E UN TELAIO? SE SIAMO NEL 1785 FANNO UNA RIVOLUZIONE, QUELLA INDUSTRIALE. LA PRIMA, PER L’ESATTEZZA. PERCHÉ QUELLE RACCONTATE NEI MANUALI DI STORIA E DI ECONOMIA FINO A IERI ERANO TRE, DA OGGI PERÒ SONO QUATTRO. AVETE MAI SENTITO PARLARE DI INDUSTRIA 4.0?

Realtà aumentata, cloud, stampanti 3d… In realtà tanti elementi di novità sono nati e si sono affermati negli ultimi anni, imprimendo al mondo economico e alla società l’idea di una nuova era dell’ideazione e della produzione, così come della conoscenza e della fruizione. Tanti tasselli di un puzzle sempre in divenire, ma che ha mostrato ormai il suo aspetto, ossia quello di un’autentica rivoluzione industriale. Ecco quindi perché la si chiama Industria 4.0: il quarto punto di svolta nella storia economica dell’uomo in cui i sistemi di produzione e consumo svoltano in maniera drastica scavando un solco incolmabile tra chi è dentro e chi è fuori. Del resto, che fine pensate abbiano fatto quei produttori che alla fine del XVIII° secolo ignoravano la potenza del vapore per il funzionamento degli stabilimenti produttivi; o quelli che all’inizio del XX° secolo non organizzarono i propri stabilimenti secondo i principi delle catene di montaggio?

La tecnologia delle meraviglie
La nuova rivoluzione industriale che stiamo vivendo in questo periodo storico spinge i limiti della digitalizzazione delle strumentazioni e l’informatizzazione dei dati oltre i confini che fino a poco tempo fa sembravano invalicabili. Le fabbriche (termine con cui oggi possiamo intendere un canonico stabilimento da centinaia di operai, quanto un minuscolo ufficio dotato di computer e stampante 3d) diventano intelligenti, con strumentazioni perfettamente integrati in rete e governate da un flusso di dati analizzato in tempo reale. Questo porta con sé ulteriori epocali cambiamenti, dalla nuova concezione del lavoro e manodopera, fino al collegamento interattivo tra macchina che produce e oggetto prodotto. E sono tantissime le tecnologie innovative che non possono più essere considerate visioni futuristiche, ma solidi strumenti della realtà industriale di oggi. A partire dal Cloud, l’eterea nuvola delle informazioni, la tecnologia che porta all’archiviazione dei dati sulla Rete a costi contenuti, mitigando i costi di una memorizzazione dei dati a livello aziendale e di tipo fisico, come i dispendiosi server. La memorizzazione dei dati su Cloud è funzionale alla gestione dei cosiddetti Big Data: il complesso mastodontico di informazioni che le società possono raccogliere in quantità, varietà e velocità tali da richiedere, oltre a nuove tecnologie di archiviazione, anche specifici metodi analitici per tramutarsi in una preziosa fonte di vantaggi competitivi e strumento di evoluzione del proprio modello di business, mettendo in pista strategie aziendali data driven. Infatti, l’acquisizione di tali informazioni unitamente ad una tempestiva capacità di gestione del ciclo produttivo, favorirà il raggiungimento da parte di tali industrie di risultati dirompenti: alti livelli di flessibilità, una notevole capacità di personalizzazione del prodotto, un aumento di qualità di quest’ultimo oltre a più ampi margini di efficienza e di produttività. Tali effetti non riguardano unicamente l’aspetto produttivo ma giocano un ruolo fondamentale nel generare nuove forme imprenditoriali, dunque, nuovi modelli di business.
Arrivando al momento della realizzazione vera e propria del bene, fondamentale più di tutto è forse l’automazione produttiva fornita dall’IoT (Internet of Things), l’evoluzione e il coordinamento delle tecnologie wireless, dei sistemi microelettromeccanici (MEMS) e di internet. Tutto ciò ha permesso l’abbattimento della separazione tra tecnologia operativa e tecnologia dell’informazione, permettendo la nascita di sistemi informatici complessi in cui i dispositivi si connettono tra loro, condividendo informazioni e istruzioni, incarichi di lavoro e identità di produzione, ricavando da soli gli elementi di miglioramento dei processi senza la necessità dell’intervento umano. Per chiarire ulteriormente e fare qualche esempio, la IoT è presente in una persona con un impianto video nel cuore, capace di avvisare i medici tempestivamente in caso di anomalie cardiache; oppure nei sensori di un’automobile che avvisano il guidatore della bassa pressione dei pneumatici, o che attivano da soli il tergicristallo in caso di pioggia.
Nel solco della IoT si inserisce anche la cosiddetta realtà aumentata, in cui i dispositivi forniscono alla percezione umana dell’utente un enorme arricchimento di informazioni, manipolate e convogliate elettronicamente: per capirci, basti pensare a Pokemon Go, il gioco-fenomeno della scorsa estate, che è stato probabilmente la prima applicazione di realtà aumentata a larghissima fruizione.
Tecnologie fantastiche insomma, e sempre più il limite della realizzazione diventa l’immaginazione dell’imprenditore.

Cabine di regia nel mondo
Opportunità industriali del genere però meritano una messa a sistema. Come si stanno organizzando quindi le maggiori economie mondiali? Probabilmente è la Germania che attualmente rappresenta al meglio le caratteristiche del modello europeo di Industry 4.0, grazie alle sue strategie di diffusione delle linee guida dell’high-tech strategy, prese ad esempio e declinate poi rispettivamente nei programmi dei governi dei singoli paesi del vecchio continente.
Il cardine della strategia europea è però il reshoring, cioè il rientro degli insediamenti produttivi precedentemente delocalizzati fuori dalla Comunità Europea: l’obiettivo europeo individuato a Bruxelles nel 2012, è quello di “passare, entro il 2020, dall’attuale 15,6% di PIL legato al manifatturiero al 20%”. Pertanto l’Europa mira a reintrodurre sul proprio territorio numerose aziende, che dagli anni 80, avevano iniziato a dirigersi all’estero verso i paesi BRIC o comunque verso paesi in cui il costo della manodopera era inferiore.
Nonostante l’Europa attualmente manchi di un ente direzionale comune, la Comunità Europea nel 2010 ha lanciato “Europe 2020”, strategia decennale comunitaria che mira a promuovere la tecnologia come via da seguire per vincere la sfida della crescita economica. La priorità di “Europe 2020” risiede proprio nel voler trasformare l’economia Europea in intelligente, sostenibile e solidale.
Se l’Europa non ha (ancora) un organismo centrale in grado di coordinare e gestire una politica economica 4.0 comune, negli Usa invece qualcosa di simile c’è già da qualche anno. Si tratta dell’
Industrial Internet Consortium, nato nel 2014 su iniziativa di aziende leader nel settore come Intel,
Cisco System, IBM, General Electric e AT&T con l’obiettivo di incentivare lo sviluppo di nuove
tecnologie, applicazioni e best practice volte a diffondere l’IoT nel settore della produzione
attraverso standard architetturali aperti. Un altro grande protagonista del sistema americano è la Smart Manufacturing Leadership Coalition, dove General Motors, General Electrics, Rockwell Automation, le università UCLA e West Virginia, si sono riunite lavorando al concetto di cloud manufacturing, cioè di una piattaforma ad architettura aperta basata innanzitutto sulla tecnologia cloud, da utilizzare in tutti i processi industriali a partire dalla modellazione, proseguendo nella simulazione, progettazione e analisi dei dati provenienti dai sensori impiegati nelle linee produttive.
L’obiettivo comune di queste organizzazioni risiede nel fornire alle imprese nuovi modelli di
business e strumenti per ridurre il lead time e il time to market, cercando quindi di rispondere in
modo più rapido alle richieste del mercato. Entrambi gli organismi, sono costituiti da grandi
protagonisti del mercato americano e dipendono dal punto di vista finanziario dagli investimenti
provenienti dal capitale aziendale. La grande differenza tra Europa e America sta quindi nel fatto che le cabine di regia stanno a livello governativo e statale nel caso del Vecchio Continente, dove le strategie mirano a trasportare interamente il tessuto economico in una nuova dimensione, mentre negli Usa sono i big player a coordinarsi nell’intento di spartirsi il mercato presente e, soprattutto, futuro.

Il Piano italiano
E in Italia? Anche da noi il pallino è nelle mani del governo statale, che ha appena varato il Piano nazionale Industria 4.0 con una serie di direttive e provvedimenti per indirizzare la rivoluzione da 2017 al 2020. Ma è il caso di domandarsi innanzitutto questo piano su che tessuto industriale andrà ad agire.
Secondo una recente ricerca dell’Osservatorio Smart Manufacturing della School of Management del Politecnico di Milano, oltre un terzo delle imprese industriali dichiara di non conoscere il tema Smart Manufacturing/Industry 4.0, ma con forti differenze per settore: nell’industria automotive, nell’alimentare e nei macchinari chi non ne ha mai sentito parlare è limitato al 30%, in altri settori supera anche il 50%. Il quadro complessivo che emerge lascia però spazio all’ottimismo rilevando una decisa crescita nell’adozione di soluzioni tecnologiche di stampo 4.0, sia nel campo della produzione e logistica, sia nella gestione della supply chain, della gestione delle informazioni tramite Cloud e dell’IoT in fabbrica.
Per quanto riguarda il giro d’affari, i progetti di Smart Manufacturing in Italia nel 2015 valgono circa 1,2 miliardi di euro, di cui l’81% realizzato verso imprese italiane e il resto come export, sostenuti in larga parte da grandi imprese.
In questa situazione va quindi a innestarsi il Piano nazionale Industria 4.0 da poco varato dal governo e presentato in pompa magna al Ministero dello Sviluppo Economico dal Presidente del Consiglio Matteo Renzi e dal ministro Carlo Calenda.
«Il messaggio è che siamo di fronte a una rivoluzione profondissima dell’industria e del lavoro. Il governo questa rivoluzione l’abbraccia con questo piano mettendo a disposizione, fra diretti e indiretti, 26 miliardi di incentivi, molto concentrati nel 2017. Questa parte della manovra è per i giovani e per i vecchi, è per chi investe: possono essere anziani o giovani, a me interessa che investano». Lo ha sottolineato proprio il ministro dello sviluppo economico Carlo Calenda, che ha successivamente illustrato il piano 4.0 al Padova Nòva – Open Innovation days organizzato da Nòva24-Il Sole 24 Ore in collaborazione con l’Università degli Studi di Padova. «Sono 13 miliardi di incentivi agli investimenti e sono automatici – ha aggiunto il ministro – gli investitori non devono fare niente se non investire. Hanno tre linee, super ammortamento, iper ammortamento e un rafforzamento del credito alla ricerca e innovazione. Poi c’è un rafforzamento di strumenti esistenti: abbiamo rafforzato il fondo centrale di garanzia che garantisce fino all’80% circa un ammontare fra i 22 e i 25 miliardi di credito alle Pmi che abbiamo concentrato sugli investimenti, che riteniamo sia il tema principale per le imprese e per il paese», ha concluso Calenda.
È fuor di dubbio che l’Industria 4.0 sia oggi la sfida che l’Italia deve saper vincere domani, per diventare competitiva sul piano internazionale e ottenere un aumento di produttività del 30-50% grazie all’uso delle nuove tecnologie. Purtroppo – secondo le considerazioni della relazione conclusiva dell’indagine conoscitiva sull’industria 4.0 realizzata la scorsa estate dalla Commissione Attività Produttive della Camera dei Deputati – a oggi la nostra economia deve recuperare un gap sulle tecnologie digitali che è presente non solo nelle zone del Mezzogiorno, ma anche nei distretti industriali e c’è la necessità di percorsi formativi che possano permettere alle aziende di riuscire a trasformarsi in strutture 4.0. Gli strumenti però sono dispiegati in campo e le tecnologie sono sempre più accessibili.

Impatto sul lavoro
Sarà davvero tutto rose e fiori? Qualche dubbio può arrivare sul fronte del lavoro. Una tecnologia in cui l’automazione produttiva si calibra e si corregge da sola infatti significa meno manodopera umana. Si prospetta quindi una produzione interamente demandata ai sistemi automatizzati? Non del tutto, perché se diminuirà progressivamente la richiesta di forza lavoro a bassa qualificazione, rimarrà forte e anzi aumenterà quella ad alta specializzazione. Il piano governativo, ad esempio, prende in considerazione anche la necessità di riconsiderare la regolamentazione dei rapporti di lavoro adeguandola a un contesto che evolverà continuamente verso una maggiore autonomia e
responsabilizzazione del lavoratore. Le relazioni industriali tenderanno a una forma più flessibile, improntata a forti decentramenti in modo da valorizzare le competenze e le abilità. Facilitando, anche fiscalmente, gli spazi di scambio salario-produttività sarà possibile premiare gli aumenti di produttività a livello di singola fabbrica o filiera industriale interconnessa.

Marketing: una nuova alba
«Il mondo del marketing non è più lo stesso», lo afferma Scott Brinker, guru americano del digital marketing, che ha presentato il concetto di agile marketing durante il Social Business Forum 2016, organizzato dall’azienda del Gruppo Bip OpenKnowledge, leader sui temi della platform transformation. «Il settore è stato invaso negli ultimi anni da software e tecnologie, che sono passate da 150 nel 2011 a oltre 3.500 nel 2016, e operare su diversi livelli, ad una velocità sempre maggiore. Un fenomeno che destabilizza i manager che se ne occupano, ma che invece rappresenta una grande opportunità – ha proseguito Brinker – Il marketing digitale si sta sempre più orientando ai paradigmi dello sviluppo agile tipici dell’industria del software: brand, marketer e business potranno imparare come gestire con successo le strategie di marketing digitale facendo leva su pratiche e team agili, piattaforme e algoritmi, tecniche di ottimizzazione e iterazione. Se una volta il marketing poteva limitarsi all’ambito della comunicazione ora è fortemente legato allo sviluppo dei software e al business dell’esperienza. Questo sta cambiando velocemente le dinamiche di una professione in un modo che potrebbe sembrare complicato e svantaggioso, ma che permette di rivoluzionare la customer experience, grazie alla diffusione di software evoluti».
Velocità dunque, non solo nel progresso tecnologico ma nella forma mentis di crea business: velocità di analisi, velocità inventiva, velocità decisionale e convincersi che con le solide basi di un’idea vincente, tutto si può creare e commercializzare. L’Industria 4.0 abbatte tantissime barriere pratiche; abbattere quelle proprie mentali resterà però sempre compito dell’imprenditore.