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> di Daniele Paletta

Li avete invitati a una festa di compleanno, ma loro hanno deciso di non partecipare. Poi, però, nel giorno del grande evento, si presentano alla porta senza alcun regalo, e mangiano pure un’ampia fetta di torta. Della vostra torta.
Un equivalente di questo comportamento – poco etico, forse, ma di indubbia efficacia per chi lo mette in pratica – esiste anche nel mondo delle sponsorizzazioni, ed è particolarmente diffuso nello sport. Si chiama ambush marketing, e lo mette in pratica chi, nel promuovere il suo prodotto, si “aggancia” a un evento senza averlo sponsorizzato né aver avuto alcun rapporto con l’organizzazione.
Ci sono molti modi per insinuare il proprio marchio all’interno di uno spettacolo sportivo, e lasciare così allo spettatore la sensazione di aver contribuito a realizzarlo. Il pubblico, del resto, fatica a comprendere quale degli sponsor che vede sia, in un certo senso, parassitaria, né probabilmente è interessato a scoprirlo.
Per limitare il fenomeno dell’ambush marketing, gli organizzatori dei grandi eventi si stanno mobilitando per difendere al meglio i propri sponsor ufficiali: per Londra 2012, ad esempio, era stato creato il London Olympic Association Right, che proibiva qualunque associazione non autorizzata (commerciale, contrattuale, finanziaria o di aziende) con le Olimpiadi. Gli organizzatori dei Giochi del Commonwealth, che si terranno a Glasgow in luglio, sono andati oltre, offrendo agli sponsor ufficiali il diritto di opzione sulla cartellonistica non solo nelle location degli eventi, ma anche nelle immediate vicinanze.

Ma le precauzioni rischiano di non essere sufficienti. Guarda la gallery per scoprire alcuni degli esempi più ingegnosi nella storia più recente dell’ambush marketing.

Paddy Power: vale tutto
Ogni modo è lecito pur di far comparire il proprio marchio? Ecco cosa si è inventata un’azienda di scommesse sportive.

Paddy Power

Un esempio di ambush marketing per Paddy Power

 

Atlanta 1996: occhi da Puma

Atlanta 1996: occhi da Puma

Lindford Christie ad Atlanta 1996

Per le Olimpiadi di Atlanta del 1996 la Reebok pagò 40 milioni di dollari per avere la sponsorizzazione esclusiva sull’evento. Ma gli attacchi di ambush marketing sono stati innumerevoli, da quelli della Nike – che aveva allestito giganteschi stand a pochi passi dallo stadio – a quelli della Puma, che chiese allo sprinter Lindford Christie di indossare lenti a contatto con il logo del marchio.
Wimbledon 2009: il tennis e le Pringles

Pringles, Wimbledon 2009

Pringles, Wimbledon 2009

Avete mai notato che il tubo delle celebri patatine assomiglia a quello delle palline da tennis? Alla Pringles sì: nel 2009 a Wimbledon – torneo che è sempre stato giocato con palline Slazenger – sono stati distribuite 24mila lattine di colore verde. “Queste non sono palle da tennis”. Una campagna efficacissima, firmata dall’agenzia Touch per Procter & Gamble.

Sudafrica 2010: le ragazze della Bavaria

Coppa del Mondo del 2010 in Sudafrica: la Bavaria, produttore di birra olandese, inscena un presunto tentativo di ambush marketing. Durante il match dell’Olanda contro la Danimarca, ben 36 donne – filmate durante tutto il match – si sono spogliate sugli spalti, rivelando vestiti completamente arancioni. Il colore della divisa del team olandese, certo, ma anche di una birra che non era tra gli sponsor ufficiali. Le donne sono state cacciate dallo stadio, e due di loro fermate per “attività commerciali illegali”.

Londra 2012: il nuoto e quelle cuffie Beats Electronics

Londra 2012, cuffie Beats Electronic

Cuffie Beats Electronic

Prima di gareggiare, molti dei nuotatori ascoltavano musica da cuffie vistose. Erano della Beats Electronics, l’azienda del rapper Dr Dre e del guru dell’industria musicale Jimmy Iovine. Lo staff della BE era stato istruito a “incontrare” gli atleti per caso e a regalare loro un paio di cuffie. Il risultato? Un enorme visibilità per il marchio, senza aver speso in sponsorizzazioni ufficiali.

Nike: Find your greatness

Olimpiadi 2012. Solo gli sponsor ufficiali possono fare pubblicità richiamando i Giochi di Londra. A meno che non si trovi il modo di mostrare eventi sportivi che avvengono a London. In tutte le città chiamate London in giro per il mondo, eccetto quella.

Zippo Saves Olympics

Zippo Saves Olympics

Zippo Saves Olympics

Mancavano pochi mesi alle Olimpiadi di Sochi, quando la fiamma olimpica è passata davanti al Cremlino, e si è spenta. A riaccenderla è stato un poliziotto in borghese, che aveva con sé il suo accendino, molto simile a uno Zippo. L’azienda se n’è accorta, e ha subito postato sui social la foto dell’accaduto, lanciando il tag #ZippoSavesOlympics. Ma l’uso di un riferimento diretto ai Giochi in una pubblicità fatta da sponsor non ufficiali non era autorizzata, e la campagna è stata modificata.

American Apparel e le leggi anti-gay in Russia


American Apparel

American Apparel

Il Principio 6 dello Statuto del Cio recita: “Ogni forma di discriminazione di una terra o di una persona basato su razza, religione, credo politico, genere o altro è incompatibile con lo spirito olimpico”. Diverse associazioni Lgbt hanno richiamato questo principio, facendo produrre merchandising ispirato al Principle 6 all’American Apparel. Nonostante l’azienda abbia versato i guadagni delle vendite a sostegno delle campagne anti-discriminazione, si può vedere un doppio ambush marketing: l’azienda si fa pubblicità usando i principi del Cio contestando allo stesso tempo il modo in cui sono applicati. E il tutto attraverso una posizione eticamente condivisibile.

Oddbins: c’è chi dice no

Oddbins

La campagna di Oddbins

C’è anche chi protesta contro le limitazioni all’ambush marketing. Come la Oddbins, un negozio di bottiglie inglese, nel periodo delle Olimpiadi di Londra. Come ha spiegato il managing director Ayo Akintola al Daily Telegraph, “Volevamo sottolineare un’assurdità: i cittadini britannici, che stanno pagando questi giochi, sono assoggettati a regole ridicole”.
Non solo sport: lo scherzo della Fiat alla Volkswagen in Svezia


Fiat vs Volswagen in Svezia

Fiat vs Volswagen in Svezia

Maggio 2012: Street View pubblica l’immagine della sede svedese della Volkswagen. Davanti all’ingresso, c’è parcheggiata una Fiat 500. Pare che qualcuno abbia visto la macchina di Google a Södertälje, e abbia deciso di piazzare l’auto italiana davanti alla porta dei rivali. E la foto rimarrà lì fino al prossimo aggiornamento di Street View. Per vederla basta cercare “Volkswagen Group Sverige AB” su Google Maps.