Skip to main content

I nostri antenati ne conoscevano già le molteplici proprietà. Lo estraevano dalle pozze superficiali in cui affioravano le sorgenti sotterranee, e lo utilizzavano a fini bellici: celebri le armi incendiarie come il fuoco greco dei bizantini o il fuoco perenne citato nell’Iliade. Ma il petrolio veniva usato anche come medicinale. Mai sentito nominare il santuario della Madonna dell’Olio? Si trova nel piccolo comune siciliano di Blufi, e il suo nome deriva proprio dalla vicina sorgente di oro nero che sin dalla notte dei tempi era usato come rimedio per alcune infezioni cutanee o come vermifugo. Ma solo a partire della seconda metà dell’Ottocento il petrolio ha cominciato a diffondersi – è proprio il caso di dirlo – a macchia d’olio diventando, come scrisse il giornalista americano Richard Heinberg, “l’essenza della vita moderna”.

Solo metà del greggio che consumiamo oggi, infatti, è utilizzato per i trasporti – che dipendono per oltre il 90% da questa fonte – il resto viene raffinato e, da vari prodotti intermedi, trasformato in un’ampia gamma di cose che popolano la nostra quotidianità, dalle materie plastiche all’abbigliamento, passando per i farmaci. «L’immaginario collettivo è solito identificare l’industria del petrolio con il settore petrolifero – spiega Debora Fino, docente di Impianti chimici al Politecnico di Torino – In realtà, assieme a chi si occupa di cercare, estrarre e distribuire il petrolio, c’è il variegato settore di chi si occupa di trasformarlo. Tra le applicazioni più comuni ci sono le materie plastiche: quello che invece generalmente viene meno alla mente sono gli isolanti per l’edilizia, i saponi, le pitture, i coloranti, le vernici, i detergenti, i detersivi, gli insetticidi, i profumi. Anche i fertilizzanti azotati derivano essenzialmente dalla sintesi dell’ammoniaca, dell’urea e dell’acido nitrico, prodotti nel settore petrolchimico. Si tratta di prodotti e derivati per lo più da un trio di molecole fondamentali: l’etilene, il propilene, il benzene».
Il processo produttivo è piuttosto complicato. Si parte dagli idrocarburi pesanti del petrolio, che vengono sottoposti al cosiddetto cracking o piroscissione, attraverso un intenso calore e talvolta un catalizzatore chimico: il risultato sono queste tre sostanze chimiche, che da sole costituiscono le materie prime per una serie innumerevole di prodotti. L’etilene, per esempio, può essere polimerizzato per formare il polietilene, una materia plastica usata dai giocattoli ai contenitori per gli alimenti all’arredamento. Ma può anche reagire con il cloro, dando vita al cloruro di etilene, che viene poi utilizzato per produrre cloruro di vinile oppure la sua forma polimerizzata, il PVC, che ritroviamo dai materiali per l’edilizia all’abbigliamento. Senza i prodotti petrolchimici evidentemente non esisterebbero alcuni aspetti fondamentali della nostra contemporaneità: la produzione e la distribuzione di alimenti e merci, l’industria dello svago e degli spettacoli, le tecnologie mediche, l’edilizia, l’informatica, persino l’agricoltura. La professoressa Fino, a proposito, chiarisce: «Esiste una filiera, ormai abbastanza diffusa, che cerca di percorrere una strada diversa, per esempio utilizzando il compost come ammendante. Ma il fertilizzante a base azotata ottenuto dal petrolio è molto più compatto e facile da trasportare per le colture intensive».
Ma perché il petrolio ha avuto così successo? «In questo momento sono seduta su una sedia in plastica, estremamente leggera – prosegue la professoressa – Probabilmente quella nella casa di mio nonno era di legno, molto più pesante e non così resistente. Le bottiglie di policarbonato hanno rimpiazzato quelle di vetro perché pesavano di meno. Se i derivati del petrolio sono entrati così violentemente nella nostra vita quotidiana è proprio grazie alle loro proprietà. Non solo, ma le alternative sono più costose. I consumatori hanno determinate esigenze da coprire con determinati budget: il maglioncino di cachemire ha un costo, la maglia di lana un altro, ma nelle giornate invernali ci si può coprire tranquillamente con un pile». È proprio grazie alle sue doti chimicamente impareggiabili che il petrolio è diventato la materia prima per eccellenza dell’industria moderna. Per questo è così faticoso trovare delle alternative.
Eppure, al greggio dovremo prima o poi rinunciare, dal momento che si tratta di una risorsa geologica non rinnovabile e dunque, per definizione, in via di esaurimento. «Si ha la sensazione che non si conosca la completa verità, che non si sappia quanto petrolio ci sia ancora a disposizione per tutti i nostri utilizzi – prosegue Fino – La gente, da questo punto di vista, è scettica e ha anche una certa paura ad abbandonare il proprio stile di vita. Ma le alternative sono sul mercato. Si passa da materiali non derivati dal petrolio ma simili come utilizzo finale, come le bioplastiche, al tentativo di recuperare materiali che dal petrolio si sono originati per dare loro nuova vita, come gli oli lubrificanti rigenerati. Ma al consumatore interessa avere un prodotto che abbia le stesse caratteristiche di quello che usava prima e magari allo stesso prezzo».