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La storia dell’umanità è stata scandita dalla scoperta di materie prime fondamentali: l’età della pietra, del bronzo, quella del ferro, del rame… Oggi probabilmente stiamo vivendo quella che i nostri pronipoti ricorderanno come l’età del silicio, che si è accavallata all’età del petrolio, l’era dell’industrializzazione e della digitalizzazione, dell’economia fondata sullo sfruttamento della materia prima fossile: un’era che sta per finire. Le materie prime che Madre Natura è in grado di offrire sono limitate e di sempre più difficile reperimento. Ma non temete: il progresso tecnologico promette alla società umana presente e futura nuove e diverse strade per il suo sviluppo, nuovi materiali creati da tecnologie più efficienti e sostenibili, materie prime rivalutate oggi sconosciute o quasi, energie nuove da fonti inimmaginabili. Un futuro che è già cominciato. Scrutare nel domani delle materie prime non lascia spazio a pronostici azzardati, e si basa su ricerche approfondite e analisi oculate, perché l’intero sistema produttivo ormai sa di non potersi più muovere alla cieca, ma solo nell’ambito di una strategia ragionata che deve partire necessariamente dallo stato della disponibilità delle materie prime stesse.

Material ConneXion è un’azienda di consulenza strategica che studia l’evoluzione del panorama delle materie prime e dei materiali innovativi. Abbiamo chiesto cosa vedono dal loro punto di osservazione privilegiato, a cominciare da quelle materie prime ad alto tasso di richiesta dal mercato, che però più delle altre stanno andando incontro a un veloce esaurimento a fronte di un aumento della richiesta. «Tra le materie a più serio rischio esaurimento oggi ci sono le cosiddette terre rare – ci racconta Rodrigo Rodriquez, presidente di Material ConneXion Italia – Tra queste per esempio il Disprosio (che viene utilizzato nell’elettronica di consumo, nei materiali ceramici e nei cementi speciali) o l’Erbio, impiegato nelle fibre ottiche che ormai hanno larga diffusione nella gestione della luce. A forte rischio esaurimento c’è però anche l’Ittrio, che viene utilizzato come catalizzatore nel processo di polimerizzazione dell’etilene».
La ricerca tecnologica ovviamente non sta a guardare, e inanella scoperte su scoperte, inventando nuovi materiali che rivoluzionano costantemente le tecnologie. E’ il caso ad esempio del grafene, un derivato della grafite con ottime caratteristiche conduttive, già impiegato nella costruzione di straordinari transistor con frequenze di funzionamento più che doppi rispetto agli attuali standard. L’elettronica del futuro avrà però anche un altro grande protagonista: la molibdenite, un solfuro conosciuto sin dal ‘700 che però solo recentemente sta trovando straordinarie applicazioni nell’ingegneria elettronica ed informatica, proponendosi come eccellente sostitutivo del silicio, meno ingombrante e dal consumo energetico di gran lunga inferiore.

La lista delle nuove materie è molto lunga, frutto di ricerche intense operate in tutti i campi, giunte fino ad ottenere autentici supermateriali degni dell’equipaggiamento di un supereroe. E’ il caso del D3O, un materiale elastico che si presenta sotto forma di gel o gomma malleabile: è già il futuro della protezione dagli urti, dalle cadute e persino dai proiettili, grazie alle sue eccezionali proprietà elastiche, che lo portano a indurirsi in una manciata di centesimi di secondo quando riceve un urto e ad assorbirne quindi almeno metà della forza cinetica, per poi ritornare immediatamente gelatinoso una volta assimilato l’impatto.
Potrebbe sembrare un materiale che arriva direttamente da un film di fantascienza anche il cosiddetto ecocemento. Si tratta di un nuovo materiale edilizio prodotto sfruttando la capacità di un batterio di crescere rapidamente (grazie all’aggiunta di una sorta di “cibo” a base di lieviti, urea e cloruro di calcio) di fondersi con qualsiasi tipo di sabbia per creare un composto totalmente sostenibile sotto tutti i punti di vista. Basti pensare che è stato testato con successo anche dalla NASA, che ha usato sabbia proveniente da Marte.

Risultati simili sono il frutto di una ricerca tecnologica meticolosa e lungimirante. L’Italia può giocare questa sfida da protagonista con un’adeguata sinergia tra industria e ricerca scientifica? «L’interesse dell’industria c’è – conferma Rodriquez – Quello che manca sono gli investimenti nella ricerca di base. Ovviamente nelle grandi imprese la ricerca interna è vivace. Il tessuto imprenditoriale Italiano, però, è composto prevalentemente da aziende di piccole e medie dimensioni, in cui storicamente è affidata a consulenti esterni e fornitori l’attività di ricerca di nuove soluzioni relative a materiali e processi». Il problema è quindi l’investimento economico nella ricerca, che corre il rischio di non essere adeguato rispetto alle potenzialità dei nostri ricercatori. Ma Rodriquez non è pessimista: «C’è una discreta convergenza tra risorse economiche investibili e risultati. In termini assoluti però non vengono fatti grandi investimenti in ricerca avanzata come per esempio accade in Germania. Quello che possiamo notare è una certa crescita tecnologica spinta dalla necessità di risolvere problematiche legate a estetica e sostenibilità nelle aziende medio piccole. Inoltre, possiamo segnalare sviluppi e punte di eccellenza tutta italiana nella ricerca del campo dei biopolimeri e delle nanotecnologie».

Ma, come asseriva Lavoiser, nulla si crea, nulla si distrugge e tutto si trasforma. Per questo motivo molto probabilmente la vera fonte inesauribile di nuovi materiali sarà la capacità di riciclare e reinventare quelli esistenti, a partire dai rifiuti domestici.
In questa ottica è sicuramente interessante l’evoluzione della cosiddetta materia prima seconda, ossia il granulato plastico che si ricava dalla lavorazione dei rifiuti residui secchi depurati dalla frazione umida a seguito di una buona raccolta differenziata. La lavorazione meccanica dell’immondizia residua porta alla produzione di questo materiale, fabbricabile in diverse densità e adattabile alle più svariate produzioni: sedie, suppellettili, contenitori, pavimentazioni, laterizi… In Italia un materiale simile è prodotto ad esempio dal Centro Riciclo di Vedelago in provincia di Treviso, uno stabilimento innovativo che negli ultimi anni ha visto nascere diversi epigoni nelle province di Sassari e Roma. La materia prima seconda prodotta con questo procedimento è assolutamente economica ed ecologica, conveniente per tutti, e sembra proprio essere il non plus ultra dell’ecologia applicata al profitto. Ma è il punto di arrivo di una filiera di raccolta dei rifiuti perfetta come un orologio svizzero, che si realizza solo in poche zone nel nostro Paese: è sufficiente che l’immondizia da lavorare contenga una certa percentuale di rifiuto umido per essere inutilizzabile.

Può sembrare davvero fantascientifico, ma anche l’alimentazione vivrà in futuro di nuove materie prime, create per rendere possibile il sostentamento di una popolazione in crescita e con maggiori esigenze alimentari. E’ stato calcolato che nei prossimi 40 anni il fabbisogno di carne raddoppierà, rendendo insostenibile il mantenimento degli allevamenti intensivi, già adesso autentici inceneritori di risorse agricole e idriche, nonché i responsabili – secondo il dossier FAO del 2006 – dell’immissione del 51% dei gas serra nel pianeta, contro il 14% determinato dalle attività di trasporto umano. Il problema si risolverà con la bistecca artificiale? Il prototipo è stato presentato poche settimane fa da un team di scienziati olandesi, che sono riusciti a far crescere in laboratorio una porzione di tessuto muscolare partendo da cellule staminali. Il colore e il sapore lasciano ancora molto a desiderare e il costo della portata è stato parecchio salato (250 mila dollari!), ma si tratta del trampolino di lancio che dovrebbe portare in una dozzina di anni ad una procedura industriale ottimizzata per la bistecca del futuro: saporita, invitante, nutriente, con un contenuto di grassi controllabile e a portata di tutte le tasche. Domani tutto questo sarà la quotidianità.