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Magnani, questa esposizione portata in una sede conosciuta in tutto il mondo per la ricerca nucleare, segna un punto di incontro molto originale tra scienza e arte, che però fa anche parte della sua storia e forse del suo DNA.
Effettivamente questa mostra è un po’ il mio “ritorno a Itaca”, un ritorno che avviene dopo aver accumulato nuove esperienze. Ritorno nel mondo della scienza arricchito di un bagaglio che è quello dell’arte, della creatività e di una certa libertà. Questo è il momento non più di separare, ma di tornare ad unire in ciascuno di noi l’emisfero cerebrale destro con quello sinistro, la creatività e la logica, o più precisamente l’intuizione e la logica. L’intuizione rappresenta proprio un nodo centrale di “Searching the Unknown” e del percorso che ne seguirà: se ci riflettiamo, i grandi “balzi in avanti”, sia nella scienza che nell’arte, non arrivano da un filo logico seguito pedissequamente, ma da un momento di rottura, l’intuizione appunto, che ti fa scoprire e comprendere un elemento nuovo. Grandi personaggi del passato hanno considerato e utilizzato questo processo, per citarne alcuni Einstein, Beethoven e Picasso. Ognuno ha tratto ispirazione dalle discipline a loro estranee comprendendone i meriti e il ruolo nell’evoluzione del sapere umano. In questo modo si sono aperti al mondo liberando la loro capacità di sfruttare l’intuizione e di far dialogare l’arte e la scienza.

C’è, e forse c’è sempre stata, una forte componente di scienza nelle sue opere, visibile anche nelle tecniche, attraverso procedimenti come la combustione, o nella collezione “Searching the Unknown” l’analisi del movimento dei fluidi.
Sì, in quest’ultima collezione ancora di più. Per me la tecnica è sempre stata uno strumento per arrivare ad esprimere e visualizzare dei concetti. A partire dalla collezione “Supernova” ho avuto bisogno di rappresentare qualcosa come le esplosioni stellari. Mi sono quindi rivolto ai principi della fluidodinamica, anche se parlando di stelle questi intervengono su dimensioni assolutamente macroscopiche, la fluidodinamica continua ad avere un senso anche nelle modalità che posso sfruttare io in atelier. Quindi attraverso getti di aria e acqua muovo i colori sulle superfici, ottenendo un risultato che oltre ad essere estetico richiama questa idea di esplosione stellare. La serie “Dark Matter” che porto al CERN ha però qualcosa in più. L’ispirazione, come dice il nome, nasce dalla materia oscura, che oggi rappresenta probabilmente il tema più intrigante sia della fisica delle particelle che dell’astrofisica e della cosmologia; nessuno sa cosa sia e dunque per ora ci permane invisibile. Un campo di ricerca che ci dirà molte cose sul destino dell’universo e le leggi che lo governano e che mi ha profondamente affascinato. Partendo dalle tecniche usate per Supernova, la mia idea è stata quella di aggiungere il pigmento fosforescente, ovvero colori che alla luce non vedi, ma cogli solo al buio. Questo implica il fatto che guardando l’opera d’arte in certe condizioni hai l’impressione di averla colta completamente, ma cambiando le condizioni, spegnendo la luce, vedi qualcosa di nuovo di cui non avevi idea. Ho trovato l’analogia con la materia oscura molto pertinente: la materia è presente (nell’opera), ma non la vedi. Anche noi siamo circondati dalla materia oscura, ma non la vediamo: toccherà alla scienza trovare lo strumento che ci permetterà di individuarla utilizzando un modo nuovo di guardare il mondo.

 

Quindi richiede anche un cambio di condizione all’osservatore, un cambiamento di prospettiva e nel modo di osservare l’opera?
Questo fa parte del messaggio, forse il più trascendente, che c’è nella collezione: l’invito appunto rivolto allo spettatore di cambiare la prospettiva con cui osserva l’opera, un invito a cambiare il modo di vedere ciò che ci circonda per scoprire ciò che non si vede di primo acchito. Solo in questo modo riesci ad aggiungere valore alla realtà: se non cambi mai punto di vista, vedrai sempre le stesse cose. Se hai l’ambizione di vedere cose nuove devi cambiare posizione. È un invito rivolto anche più in generale al mondo dell’arte e al mondo della scienza, che in lunghe fasi storiche sono stati due castelli fortificati che non dialogavano tra loro, quando non si facevano addirittura una guerra aperta. Ora le condizioni sono cambiate: mi piace far parte di un gruppo, ancora abbastanza ristretto e pionieristico, che punta a far crollare le mura di questi castelli e far interagire i due mondi. Sempre di più la scienza fa riferimento all’arte per esemplificare certi concetti complessi, e sempre di più l’arte si ispira alla scienza, come nel mio caso, per trarne ispirazione. L’opera d’arte ha la qualità di essere accessibile anche da parte di un pubblico più ampio, in cui una maggioranza non conosce gli aspetti scientifici, ma che però può esserne coinvolta attraverso gli aspetti estetici e l’emozione generata dalla visione dell’opera.

Anche questo aspetto, il voler far dialogare le due dimensioni scienza e arte, attinge profondamente alla sua storia personale
Questa mia caratteristica oggi mi piace, ma c’è stato un tempo in cui la nascondevo un po’. Il mio percorso mi ha portato a valorizzarla, un percorso che forse ha trasceso anche la mia volontà. Quando ho iniziato la serie Dark Matter, per me era una semplice evoluzione della mia crescita artistica, non pensavo minimamente di arrivare ad esporre al CERN, poi quando casualmente ho conosciuto Marilena Streit-Bianchi, che oggi è la curatrice della mostra di Ginevra, parlando di questa collezione dedicata alla materia oscura, si è entusiasmata e in pochissimo tempo si è concretizzata questa opportunità.

Come è nato il contatto con il CERN e come ha conosciuto Marilena Streit-Bianchi?
Innanzitutto voglio dire che per me è un grande privilegio poter esporre in questa sede in una mostra curata da Marilena. Marilena è stata per 40 anni una ricercatrice del CERN, una pioniera nelle applicazioni mediche delle particelle ad alta energia e del trasferimento tecnologico all’industria ed è oggi membro onorario del CERN. Il nostro incontro è stato assolutamente casuale ed è avvenuto dopo la mostra del 2017 a Reggio Emilia “L’oro della Terra”. Tra noi c’è stata subito grande sintonia e voglia di collaborare, fino a realizzare questa mostra che forse sarebbe più corretto chiamare “progetto di arte e scienza”.

Quali sono le tue emozioni riguardo all’esposizione in una sede scientifica così prestigiosa e nota a livello mondiale?
Da diversi anni il CERN ha un dipartimento che si chiama “Arte al CERN”, e quindi a sua volta punta a far dialogare scienza e arte e anche in questo si conferma un’istituzione d’avanguardia: il metodo che seguono abitualmente prevede che un artista sia chiamato a fare un training per capire gli ultimi settori di studio del centro, e poi da questi tragga ispirazione per le opere.
Per sviluppare il concetto e l’estetica dell’esposizione Dark Matter, che si svolge sotto l’egida dell’Associazione del personale del CERN, e’ stato di grande aiuto il mio background scientifico. Anche se prima mi sono occupato di fusione nucleare e non di astrofisica né di fisica delle particelle, il linguaggio scientifico non cambia e questo mi ha permesso di aggiornarmi in maniera autonoma sulle le teorie della fisica di frontiera.
Sono anche emozionato su quella che potrà essere l’accoglienza del pubblico: al momento le opere della serie Dark Matter sono state presentate solo ad una ristretta cerchia di persone in una “video preview” fatta a Edimburgo in occasione di un workshop internazionale di filosofia, fisica e astrofisica.
Ovviamente hanno visto le opere anche coloro che hanno scritto per il catalogo, un pool di sette autorevoli scienziati e filosofi della scienza (Luisa Cifarelli, Luis Alvarez Gaumè, Michela Massimi, Tiziano Camporesi, Licia Verde, Amedeo Balbi e Marilena Streit-Bianchi), ma nessuno le ha ancora viste dal vivo e ci tengo che questo avvenga per la prima volta al CERN. I testi del catalogo, scritti in termini divulgativi, credo avranno la possibilità di offrire tanti spunti ai visitatori della mostra, chiavi di lettura e informazioni utili per comprenderla al meglio, e per capire la “missione” di far dialogare arte e scienza. Un dialogo che oggi, visto lo sviluppo delle due discipline, può tornare ad essere proficuo come è avvenuto in periodi storici come ad esempio il rinascimento: colgo l’occasione dell’anniversario dei 500 anni dalla sua morte, per citare l’esempio che meglio ha incarnato questo rapporto, Leonardo da Vinci. Ma un altro esempio fu Giovanni Keplero, che viene citato come un grande scienziato che ci ha aperto gli occhi sulle dinamiche del sistema solare, e che scrisse anche il libro Harmonices Mundi, a cui ho dedicato una mostra a Praga nel 2013. In questo libro Keplero parla dell’armonia dei mondi, delle geometrie celesti che sarebbero in armonia con quelle terrestri, con i solidi platonici e le note musicali. Temi che un po’ di anni fa potevano essere considerati magia o alchimia e guardati con sospetto dalla comunità scientifica. Una visione olistica dell’universo che oggi sta diventando sempre più attuale e condivisa. In realtà gli scienziati del passato sono stati anche grandi artisti, e spesso grandi mistici: i confini non sono mai stati netti e definiti, solo con l’illuminismo si è tentato di separare la conoscenza in compartimenti stagni. Proprio in giugno tornerò a Praga per una conferenza su Mistica e Scienza, e cercherò di portarvi anche il contributo dell’Arte, perchè credo profondamente che questi tre ambiti del sapere rappresentino una trilogia potentissima che, insieme, ci permette di leggere meglio il mondo e di evolvere.

Questo percorso di ricerca, dove crede la porterà nei prossimi anni? E al di là della scienza, ci sono anche artisti contemporanei che per lei sono fonte di ispirazione?
Per quanto riguarda la prosecuzione della mia attività artistica, in settembre vorremmo portare la mostra al Gran Sasso Science Institute e vorremmo proseguire il tour in altre sedi di ricerca scientifica. Senza dubbio porterò le opere di Supernova Dark Matter e una nuova collezione legata agli universi multipli, ma può sempre arrivare un’idea, un’intuizione che mi spinga a nuove creazioni: due anni fa ero in piena “fase alchemica” della mia arte e non avrei potuto prevedere ciò che realizzo oggi. In pratica resto in ascolto, di me stesso e del mondo. Per quanto riguarda il mio rapporto con gli altri artisti, ritengo sia indispensabile conoscere i grandi del passato: come nella scienza, non puoi fare passi avanti e provare a dire qualcosa di nuovo, senza sapere da dove siamo partiti e conoscere il punto a cui siamo arrivati. Guardare all’arte contemporanea è ugualmente importante per evitare di dire cose già dette, anche se può succedere che, parallelamente, due artisti o due scienziati arrivino alle stesse conclusioni, senza copiarsi, semplicemente perché i tempi sono maturi. Rispetto all’arte contemporanea, personalmente ho abbandonato l’intento di provocare, anche se oggi è molto “di moda”, permettetemi il termine. Vent’anni fa cercavo di ottenere risultati provocatori attraverso l’arte figurativa, sottolineando i difetti della società, ma poi sono arrivato a un punto di rottura, alla percezione che stessi mandando segnali negativi, e ho cambiato stile. Ho voluto cercare risposte, messaggi positivi, non solo limitarmi a puntare il dito. Da questo è nato un nuovo filone dove la mia oramai lontana origine di ricercatore scientifico sposa la mia ricerca artistica. Abitanti di un cosmo di una bellezza che ci sovrasta e ci fa sentire infinitamente piccoli, alla ricerca delle nostre origini e dell’origine dell’universo siamo spinti dalla curiosità ad esplorare “the unknown” con tutti i mezzi e le capacità a nostra disposizione. L’arte mi permette di esplorare, conoscere e proseguire un percorso umano e di vita che non potrei fare altrimenti.