Clint Eastwood, Woody Allen, Ken Loach, tre giovanotti ultraottantenni, realizzano da circa 40 anni un film all’anno, senza che l’età avanzante ne interrompa o rallenti il ritmo.
Ora, ad esempio, Woody Allen ha appena inaugurato il festival di Cannes con il suo nuovo Cafè society, presentato in Francia con puntualità svizzera; Ken Loach è in concorso con I, Daniel Blake, altro ritratto proletario britannico, secondo il suo stile ultraconsolidato. Eastwood invece ha quasi terminato Sully con Tom Hanks, biografia del pilota eroe che salvo un aereo facendolo atterrare nell’Hudson qualche anno fa: il film dovrebbe uscire in autunno.
Tre uomini di cinema a tutto tondo (due di loro anche attori di successo), dalla personalità spiccata, attivissimi e allergici al glamour, con un’idea artigianale della costanza al lavoro, depositari di un mondo d’autore che non si stancano mai di esplorare, di illustrare ancora. Possono piacere moltissimo, abbastanza o poco, ma sono sé stessi fino in fondo e meritano il più profondo rispetto. Sono anche un monito sorridente verso i teorizzatori della gioventù ad ogni costo.