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Non molti sanno che cosa sia un art dealer. Figura di collegamento tra il gallerista e il collezionista, questa professionalità autonoma e dalle molteplici competenze – non solo culturali, ma anche organizzative ed economiche – può diventare fondamentale non solo per la scoperta e l’affermazione di nuovi talenti creativi e l’individuazione di standard per il riconoscimento del valore di un’opera, ma anche per la ricerca e la valorizzazione di spazi espositivi inediti, che si trasformano in un investimento capace di offrire nuove aperture e arricchire l’intera collettività. Un caso esemplare è ciò che è accaduto a Reggio Emilia con la mostra No Conforme–T.I.S.A.(B), tenutasi nel mese di giugno nei locali dismessi dell’ex Anagrafe a Palazzo Frumenteria, nel cuore del centro storico: solo il primo di una lunga serie di appuntamenti non conformi. Ne abbiamo parlato con la curatrice dell’esposizione, Lia Bedogni, professione art dealer.

Una mostra di street art sulle pareti di uno spazio civico non è cosa di tutti i giorni. Come ci è riuscita?
Quando ho sottoposto al Comune di Reggio il mio progetto di far esporre lo street artist brasiliano Paulo Cesar Oliveira, meglio noto nei circuiti artistici come Auma, ho incontrato subito grande interesse e disponibilità. E la giusta lungimiranza per comprendere che la street art non consiste semplicemente nell’imbrattare i muri cittadini, ma – specialmente in Sudamerica – è una forma d’arte legata a una responsabilità civile attiva e vigile. Per esempio, nell’opera di Auma gli interventi pittorici diventano un dialogo aperto capace di trasformare lo spazio da luogo alienato e abbandonato a luogo riqualificato, in cui la comunità rivive e si riconosce. Di fronte a queste suggestioni, il Comune è stato estremamente ricettivo e ci ha concesso subito uno spazio molto interessante. L’evento, organizzato insieme al Collettivo Fx, è stato realizzato quasi a costo zero e ha avuto ottimi riscontri e grande affluenza di pubblico.

Come si diventa art dealer?
Nel mio caso, alla formazione storico-artistica, grazie alla scuola per operatori dei beni culturali e agli studi di storia dell’arte, ho affiancato esperienze professionali di tipo operativo in importanti spazi pubblici del nostro territorio come la Fondazione Magnani Rocca a Parma e Palazzo Magnani a Reggio Emilia. Sono partita dal basso, dalla guardiania, e dopo un corso di didattica museale seguito da un tirocinio sul campo, ho avuto i primi contatti con mostre, autori importanti e musei esteri. Poi, per diversificare la mia professionalità, sono entrata nel mondo delle gallerie. Dal 2002 ho iniziato a lavorare in una galleria di Mantova che operava su scala nazionale e in pochi anni ne ho assunto la direzione artistica. Il direttore artistico in Italia è una figura che ufficialmente non esiste, una sorta di factotum dalle mille competenze: i suoi compiti vanno dai contatti con gli artisti all’allestimento delle mostre, fino all’ufficio stampa, la cura del catalogo, l’emissione delle fatture. Poi ci sono le fiere, la selezione degli artisti e lo scouting per capire su chi investire e quali progetti sviluppare. Purtroppo devo dire che le gallerie italiane sono una delusione. Gestite praticamente solo a livello familiare, non hanno figure professionali specifiche al loro interno e basano il proprio operato solo sul mercato. In Italia sulle gallerie non c’è una legislazione specifica, specie per quanto riguarda l’arte contemporanea. Per esempio, un’Iva più bassa garantirebbe maggiore legalità e professionismo, e uno slancio diverso a un collezionismo più giovane e meno elitario.

Oggi che si muove da libera professionista, quali sono i suoi progetti?
Mi interessa ragionare sull’arte contemporanea applicata al sociale: è un campo praticamente inesplorato, in cui si può fare ancora moltissimo. Mi piacerebbe fare un esperimento: far vivere due persone nelle stesse condizioni economiche, con la sola differenza che una è circondata da opere d’arte e l’altra non riceve questi stimoli, e poi provare a constatare le differenze. L’arte non è affatto accessoria: serve per comunicare e per raccontare il mondo. È lo specchio dei nostri tempi e ogni artista nella sua opera ripropone la propria storia, la propria realtà. Questo è un discorso che raramente viene preso in considerazione, anche dagli addetti ai lavori.

Spesso però l’arte è considerata inaccessibile perché troppo costosa…
Anche questo è un tabù da sfatare. Innanzitutto si possono organizzare eventi a costo zero. Un tempo, quando non esistevano le sponsorizzazioni, erano gli acquisti di opere che sostenevano le mostre. Ci sono artisti stranieri che hanno quotazioni accessibili e le cui creazioni possono diventare un investimento per chiunque abbia un buon art dealer in grado di consigliarlo. Uso di proposito la parola investimento: l’arte non subisce deprezzamenti e anche in tempi di crisi le opere continuano a essere battute al loro valore e possono diventare un bene-rifugio. Comprare un’opera di un giovane che muove i primi passi può essere più lungimirante che giocare in borsa e l’investimento comunque non sarà mai perduto. Per non parlare del capitale culturale e umano. È mia abitudine chiedere ai clienti prima di tutto se l’opera rientra nel loro gusto. Il mercato dell’arte ha prodotto tante truffe, giocando sull’ignoranza dei compratori. Nel momento in cui ci si mette in casa un oggetto che piace, che appaga lo sguardo, l’investimento economico acquista un valore aggiunto.

(foto di Massimo Dallaglio)

One Comment

  • Antonio Benuzzi ha detto:

    Brava Lia, ti faccio TANTISSIMI AUGURI per questo tuo lavoro. Gradirei ricevere informazioni sulle tue future promozioni.
    Antonio