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Il software ha vinto, è ormai talmente diffuso che nemmeno ci accorgiamo più della sua presenza. E’ qualcosa di pervasivo: sta nelle case, nell’industria 4.0, nelle automobili, governa il funzionamento delle reti di telecomunicazione, è alla base della digital economy. Se pensiamo che agli albori dell’informatica comprare un elaboratore significava comprare anche un software specifico e che per avere nuove funzioni bisognava rivolgersi al produttore dell’hardware, capiamo che di strada ne è stata fatta parecchia.
E’ interessante notare però che i sistemi software sono diventati enormemente complessi. Da tempo non esiste più la figura del programmatore che faceva tutto o quasi da solo. Ricordo che negli anni ’80 e ’90, soprattutto in ambito videoludico, c’erano singoli sviluppatori o piccoli team estremamente famosi e quasi idolatrati. L’avvento di Internet ha segnato il cambio di passo. Oggi si parla di grandi piattaforme (Google per le ricerche, Amazon per gli acquisti, ecc.). L’ultima persona ad essere diventata famosa in quanto sviluppatore di software, al di fuori della cerchia degli addetti ai lavori, è stata Linus Torvalds. Quest’anno il suo sistema operativo Linux compie 25 anni. E’ alla base di quasi tutte le grandi piattaforme che ho citato, così come molti altri software di tipo free.
Quindi l’incipit corretto per questo articolo dovrebbe essere: il software free ha vinto. Il business non sta più nel vendere software, ma nel realizzare servizi capaci di connettere le persone, gestire grandi quantità di dati ed estrarre informazione per creare il valore aggiunto che fa la differenza. Sorprendentemente, l’hardware sta diventando di nuovo centrale. Prima con le GPU “general-purpose”, poi con i nuovi mainframe (tipo IBM System Z) e in futuro, magari, con i computer quantistici.