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IndiaIl crollo dei prezzi delle commodity ha fatto scivolare il Brasile e la Russia in una lunga recessione. La Cina è alle prese con il rallentamento della crescita e con un debito societario esorbitante. È forse questa un’opportunità per l’India, sinora all’ombra degli altri Paesi BRIC?

L’anno scorso, per la prima volta dal 1999, l’India ha registrato una crescita più sostenuta di quella cinese. Potrebbe essere l’inizio di un trend. Il prodotto nazionale indiano dovrebbe continuare a espandersi a un ritmo superiore al 7% per i prossimi cinque anni. In verità, l’India deve recuperare parecchio per farcela. Il PIL pro capite indiano è pari al 3% di quello degli Stati Uniti, più o meno quello che la Cina registrava 10 anni fa.
Il fatto notevole, però, è che l’India ottiene questo livello di crescita senza ricorrere a interventi di stimolo fiscale o monetario. A differenza di molte altre grandi economie, l’India negli ultimi anni è riuscita a ridurre il suo deficit. Allo stesso tempo, ha mantenuto una politica monetaria relativamente restrittiva. E non è neppure probabile che abbia bisogno di ricorrere a motori di crescita rischiosi. L’elevato tasso di risparmio dell’India, pari al 31% del PIL, dovrebbe consentirle di crescere in modo organico, evitando di fare ricorso a ingenti finanziamenti di investitori esteri, scelta che spesso prelude a future crisi economiche.

Una rinascita favorita dalle riforme
La rinascita economica dell’India deve molto al solido programma di riforme strutturali avviato dal Primo ministro Narendra Modi. Il programma prevede una riforma fiscale, una nuova legge fallimentare, una politica di controllo dell’inflazione, la liberalizzazione delle norme che disciplinano gli investimenti esteri diretti e, in generale, maggiori sforzi finalizzati a snellire una burocrazia che complica la vita a imprese e cittadini.
Sebbene l’India abbia più volte inutilmente cercato di implementare delle riforme nel recente passato, la grande differenza che contraddistingue l’attuale amministrazione politica è che si tratta della prima maggioranza monopartitica in parlamento da quasi tre decenni. È questo che ha consentito a Modi di superare le resistenze politiche che avevano impedito i precedenti tentativi di riforma.
Stando ai riscontri positivi dei sondaggi, è ipotizzabile che il governo riuscirà a portare avanti il suo programma di riforme, realizzando interventi di carattere fondamentale, destinati quindi a durare. Nel complesso, i progressi dell’India rispetto ai cambiamenti strutturali di cui necessita l’hanno portata quasi in testa alla classifica OCSE dei riformatori dei mercati emergenti.
Ciò in parte si deve agli sforzi compiuti dal governo per stimolare una maggiore competitività tra i 29 Stati che compongono il Paese. Una maggiore concorrenza interna sostiene a sua volta la competitività dell’India a livello globale.
La principale riforma di Modi è l’introduzione di un’imposta nazionale unica su beni e servizi, la cosiddetta GST. La GST va a sostituire un sistema caotico e frammentario di dazi, imposte e maggiorazioni, che rendeva gli scambi commerciali tra i diversi Stati indiani quasi tanto complessi quanto gli scambi con l’estero. In effetti, la riforma fiscale di Modi sarà molto efficace nel processo di trasformazione dell’India in un vero e proprio mercato unico, rispetto a cio’ che spesso è apparso come una federazione di feudi in concorrenza tra loro. Le stime del National Council of Applied Economic Research insinuano che le riforme fiscali potrebbero fare aumentare il PIL annuale di circa 0,9 – 1,7 punti percentuali, mentre il volume degli scambi commerciali potrebbe aumentare anche del 6,3%.
Passando ad altri ambiti, si riscontra un numero eccessivo di asset tossici di proprietà di “imprese zombie”, di cui le banche, immobilizzate da leggi fallimentari primitive, non riescono a liberarsi. Il nuovo codice in materia fallimentare e di insolvenze dovrebbe rendere più semplice per le banche recuperare le sofferenze, rendendole così più propense e capaci di finanziare nuovi progetti e attività imprenditoriali.
Tra le altre misure si annovera l’attribuzione a ogni cittadino di un proprio codice fiscale, grazie al quale i contributi previdenziali potranno essere versati direttamente sui conti correnti privati, evitando in tal modo a burocrati corrotti di appropriarsene.
Sembra inoltre garantita l’indipendenza della Reserve Bank of India. Il mancato rinnovo del mandato di Raghuram Rajan, governatore della RBI, aveva destato qualche preoccupazione; ma la nuova nomina, conferita a Urjit Patel, è stata una sorpresa gradita. Come Rajan, il nuovo governatore è considerato un “falco” nella lotta all’inflazione e, nel ruolo di vicegovernatore, è stato uno dei principali artefici dell’attuale regime di controllo dell’inflazione seguito dalla RBI.

Fondamentali solidi
La presenza di livelli di debito relativamente contenuti assicura all’India maggiori capacità di aumentare la spesa per le infrastrutture dagli attuali livelli ai minimi storici, favorendo così il processo di urbanizzazione. Le solide finanze del Paese sono inoltre favorite dall’elevato tasso di risparmio nazionale.
Le prospettive dell’India sono buone anche su un orizzonte temporale a più lungo termine. Le dinamiche demografiche sono favorevoli: la popolazione relativamente giovane preannuncia diversi decenni di sviluppo dinamico. Per contro, la politica del figlio unico seguita dalla Cina ne ha spostato il profilo demografico, rendendo più critiche le prospettive a lungo termine del Paese.

Un mercato adatto agli stock picker
Nonostante il ritmo incalzante delle riforme, l’India pone ancora gli investitori azionari di fronte a un dilemma. Apparentemente, i titoli azionari indiani possono sembrare onerosi, con quotazioni che superano del 10% circa quelle dei mercati sviluppati1 – pur essendo inferiori del 20% circa rispetto al sovrapprezzo di valutazione storico.
Naturalmente, le valutazioni dovrebbero essere considerate nel contesto della performance – le azioni indiane storicamente hanno generato valori di rendimento e di crescita degli utili superiori a quelli delle controparti globali, e le imprese indiane dovrebbero continuare a essere favorite dal miglioramento del clima di investimento.
Un ricco terreno di caccia che offre numerose opportunità di investimento è costituito dai trasporti – si prevede che, nei prossimi 15-20 anni, l’India avrà uno dei mercati dell’aviazione in più rapida crescita nel mondo. Il settore delle compagnie aeree sarà favorito da una classe media in forte espansione, che può e vuole spendere di più per evitare la scomodità dei viaggi in treno sulle lunghe distanze. La nostra ricerca suggerisce che la compagnia low-cost IndiGo, snella, con pochi asset e ben gestita, ha buone probabilità di generare rendimenti elevati e sostenibili.
D’altro canto, la crescente urbanizzazione dovrebbe essere di sostegno ai titoli finanziari. Un titolo che apprezziamo molto è quello di una finanziaria specializzata nel settore immobiliare che potrebbe essere sottovalutata per le sue dimensioni ridotte – detiene infatti una quota del mercato nazionale inferiore all’1%. Tuttavia, la sua posizione dominante in città indiane di secondo e terzo livello le ha consentito di raggiungere un’ottima redditività del capitale.
L’urbanizzazione sosterrà anche le società che operano nel settore dei beni di consumo. La crescente densità di popolazione mette in primo piano la questione igienica mentre, al tempo stesso, i crescenti livelli di reddito pro capite daranno ai cittadini indiani più reddito disponibile da destinare ai consumi personali.

L’importanza del lavoro sul campo
Il lavoro sul campo riveste un’importanza cruciale. Il nostro gestore di portafoglio di recente ha soggiornato per qualche tempo a Morbi, una città che rappresenta intorno al 70% della produzione di ceramica complessiva del Paese e compete con successo con la Cina. Visite in loco come questa ci consentono di generare nuove possibilità d’investimento dove, a prima vista, si penserebbe che non ve ne siano.
Il fatto che circa i due terzi della produzione di Morbi sia generata da piccole imprese, normalmente costituite da non più di tre o quattro persone, rende difficile pensare a una possibilità di accesso a questo interessante mercato. Tuttavia, analizzando le reti della clientela fino a risalire a società quotate, siamo riusciti a scoprire quali gruppi stanno traendo vantaggio da operazioni con queste piccole imprese. In questa fase in cui il governo sta spingendo l’iniziativa “Make in India”, questo tipo di analisi bottom-up si farà sempre più importante.
Il lavoro sul campo consente inoltre al team di effettuare verifiche incrociate per individuare potenziali problematiche ambientali o di governance. Ad esempio, una visita a una fabbrica appartenente a un’azienda concorrente ha fatto emergere alcune questioni legate agli standard igienici e di pulizia di uno stabilimento gestito da una società in cui avevamo investito.

Senza dubbio, dovremo superare numerosi ostacoli prima che l’India inizi a operare a pieno regime. Tuttavia, il Paese ha finalmente un governo con la volontà politica di implementare riforme reali. Ciò, a sua volta, darà all’Asia un’altra grandissima opportunità di esprimere tutto il suo potenziale. Questo processo farà emergere anche opportunità di investimento più appetibili e preziose per i gestori capaci di scovarle.

 

Contributo a cura di Pictet Asset Management