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Altro che nuovi mostri: negli ultimi anni sempre più adolescenti stanno organizzando proteste globali e, soprattutto, stanno portando avanti ricerche scientifiche di complessità impensabile. Sarà la loro curiosità a salvarci?

di Lara Ferrari

boy with laptop

C’è un faro a righe bianche e rosse, a Plymouth, che sembra piantato nel prato per giocarci. La scena è questa: un bimbo di un anno si divincola dal papà e corre verso il faro, lo approccia, prova a scalarlo. Impresa titanica, meglio aprire la porticina e salire su, al posto di vedetta. Quel faro è il simbolo della partenza dei Padri Pellegrini per il Nuovo Mondo nel 1620. E con lo stesso spirito da esploratori, i piccoli ci si avvicinano per affrontare la scalata. Quei bimbi sono gli scienziati di oggi, quelli che a scuola fanno le domande più difficili o, al contrario, nel silenzio sotto il quaderno di matematica disegnano il modulo di salvataggio dello Shuttle. Il nuovo è fra noi e magari non ce ne accorgiamo, troppo indaffarati nella quotidianità. I nostri figli e nipoti adolescenti stanno progettando le case del futuro, i piani energetici non inquinanti, le scrivanie ergonomiche più sicure del mondo. Quando si legge di Jack Andraka, 16 anni, inglese, simbolo di questa new wave scientifica, c’è da rimanere sotto shock: «Noi teenager non abbiamo paura del fallimento. Non vediamo l’impossibile. Vediamo solo che… hey, fico! Vale la pena di provare!». L’adolescente ottimista che parla così è artefice di una ricerca che ha condotto alle diagnosi precoci dei tumori al pancreas.

Ma tanti altri hanno realizzato progetti incredibili. L’apripista è Nick D’Aloisio, 17 anni, creatore di Summly, l’app dove si possono vedere in anteprima le news linkate dai social network, acquistata da Yahoo!per 30 milioni di dollari. Notizie del genere arrivano anche dal mondo green. L’Urine powered generator è un generatore di energia elettrica dall’urina, messo a punto da quattro studentesse nigeriane: Duro Aina Adebola, Akindele Abiola, Faleke Oluwatoyin, di 14 anni, e Bello Eniola, quindicenne, afflitte dalla cronica mancanza di elettricità in Nigeria. Poi c’è Alpha track, invenzione di Martin Monsorno, che informa l’agricoltore del grado di inclinazione raggiunto dal suo trattore, per avvisarlo in caso di pericolo rovesciamento. Per non parlare poi del piccolo genio di Clara Lazen, che a 10 anni, davanti al kit per la costruzione delle molecole consegnatole dal suo professore, l’ha stupito con un modello formato da ossigeno, azoto, atomi di carbonio, una nuovissima molecola in grado di accumulare energia in modo duraturo, o della scienziata in fieri Ann Makosinski di 15 anni, che ha scoperto come alimentare la luce in una lampadina attraverso il calore del corpo e che andrà dritta alla Google Science Fair: «Mi interessa catturare l’energia in eccesso, dalla quale siamo circondati, ma che in realtà non usiamo». Poetica l’impresa di Marian Betchel che ha costruito un dispositivo per localizzare le mine anti-uomo grazie alle onde sonore propagate dal suo pianoforte.

L’Italia non ha nulla da invidiare in fatto di cervelloni precoci, come dimostra il concorso I Giovani e le Scienze di Milano, sorta di corrispettivo nazionale della Google Science Fair, che a livello mondiale premia scienziati dai 13 ai 18 anni investendo nel loro futuro. Che cosa porta questi ragazzi a queste scoperte? Abbiamo interpellato Alberto Pieri, segretario organizzativo della Fast (Federazione delle associazioni scientifiche e tecniche) e referente di I Giovani e le Scienze, selezione italiana del concorso della Ue: «è la vetrina annuale delle migliori scoperte scientifiche da parte di giovani intraprendenti», spiega. La finale di Milano del 3 maggio ha messo in mostra 32 progetti italiani e fra i protagonisti c’erano Maria Luigia Mercuri, Vincenzo Giacobbe e Simone Porchia di Lamezia Terme (17, 15 e 16 anni, titolari di un progetto sulla salvaguardia del sughero), i 17enni di Milano Benedetta Bravin, Giulia Caimi e Umberto Corona, che hanno portato l’esito della ricerca sui Fluidi non–newtoniani, quindi Flavio Pelone, 17 anni da San Paolo del Brasile, che ha individuato un bioindicatore nella valutazione dell’inquinamento da fumo di sigaretta.

Sognatore ma concreto, Giacobbe racconta: «Il progetto, chiamato ll sughero: frutto di Madre Natura da salvaguardare e non sprecare, ha avuto un riscontro importante nella nostra zona, dove esiste una fabbrica di isolanti di sughero e la Regione, al contrario di altre, non ha ancora iniziato il recupero del sughero. Dai nostri calcoli questa operazione porterà un guadagno di circa mille euro per ogni tonnellata di tappi recuperati. Sono tornato da Milano e da Middleburg – dove si sono svolte le Olimpiadi internazionali dell’ambiente e della sostenibilità – arricchito, più maturo, mi sono relazionato con miei coetanei da tutto il mondo, ho potuto individuare modelli positivi in un mondo che ne offre solo di negativi». Gli fa eco Porchia: «Il nostro progetto mira anche a costituire una rete di aziende e cittadini per gestire al meglio il riciclo di questa risorsa naturale in Calabria». Ai tre ragazzi di Milano, invece, abbiamo chiesto di parlarci dei fluidi non–newtoniani: «Siamo abituati a pensare che un fluido sia una sostanza in grado di deformarsi illimitatamente: vero, ma non per quelli non-newtoniani. Questa particolare sottocategoria ha un comportamento anomalo: se sottoposti a una forza di velocità e intensità elevate, possono passare temporaneamente dallo stato liquido a quello solido. Questa loro bizzarra caratteristica ci ha dato l’idea che potessero essere utilizzati per costruire imballaggi per oggetti fragili». E infine, il progetto di Pelone: «Oggi abbiamo collegato all’inquinamento dell’aria molte malattie e sappiamo che alcune sono causate da agenti presenti nel fumo di sigaretta. Ho deciso perciò di studiare gli effetti del fumo in un ambiente chiuso e ho scelto un tipo di pianta che è sensibile alle condizioni ambientali, la Tradescantia pallida, come bioindicatore. I miei esperimenti sono stati fatti in collaborazione con un’università pubblica qui in Brasile, dove ho potuto ottenere l’intera struttura e strumenti di laboratorio per condurre la mia ricerca». Flavio è conscio della grande opportunità a cui ha avuto accesso: «Mi è stata data grande responsabilità. Ecco perché sono molto ottimista sul futuro degli scienziati: siamo pronti per fare ricerca in totale indipendenza».