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Prima di tradare uno strumento, leggerne la dinamica dei prezzi in termini di volatilità è importante, perché questa misura del rischio può dare indicazioni utili sull’escursione che potrebbe avere e aiutare a posizionare stop loss e take profit sensati.Se vogliamo per esempio fare trading intraday sul future italiano, sapere che il presunto range giornaliero è di 100, 250 o 500 punti fa la differenza nella scelta dei livelli di apertura e chiusura delle posizioni. Conoscere questo dato però non è abbastanza se non sappiamo quanto sia stato stabile nel tempo: c’è una bella differenza infatti se un range di 250 punti, per esempio, si origina considerando 15 sedute consecutive (situazione limite di assoluta stabilità), oppure se si origina come media di singole sedute che hanno registrato range molto lontani tra loro. Esiste insomma la volatilità della volatilità e, per ridurre il rischio, è opportuno cercare titoli che abbiano una bassa volatilità della volatilità, perché è più improbabile che si prestino a falsi segnali o a oscillazioni improvvise.

La volatilità è sinusoidale, ciclica e persistente e dobbiamo sempre stare attenti a quando cambia, perché il cambiamento sancisce l’ingresso in una diversa fase di mercato. Si dovrebbe accendere un campanello d’allarme ogni qualvolta i nostri stop loss scattano troppo spesso, sintomo che il mercato sta diventando sempre più nervoso. Rappresentando la variazione dei prezzi di un’attività finanziaria in un determinato lasso di tempo, possiamo comprendere come un aumento di volatilità indichi una maggiore incertezza circa la direzione e soprattutto l’ampiezza del movimento in atto e quindi un maggior pericolo. Esistono due tipi di volatilità: quella storica, calcolata su un periodo passato e quella implicita o attesa, ossia un’ipotesi relativa a periodi futuri, che viene stimata sul mercato delle opzioni. In condizioni di volatilità bassa, le opzioni sono meno care e siamo in una fase di mercato prevalentemente laterale o rialzista quindi si respira aria di tranquillità e questa è condizione ottimale per l’acquisto di opzioni; quando invece la volatilità è alta, ci troviamo in una fase ribassista, in momenti di pessimismo del mercato oppure siamo in attesa di dati importanti a livello macro o a livello societario, dopo i quali la volatilità si sgonfierà rapidamente.

Il VIX (Volatility Index) è l’indice creato per misurare le aspettative a breve termine sulla volatilità implicita delle opzioni sull’SP500 a 30 giorni dalla scadenza ed è un punto di riferimento importante per gli investitori di tutto il mondo. Si è guadagnato la nomea di indice della paura per via della sua correlazione inversa con l’andamento dell’SP500: se SP500 sale, il VIX scende e viceversa. A livello operativo, se il VIX sale sopra ai 30 punti significa che siamo in una fase di forti e violenti ribassi (adesso è circa 14). Il VIX è senza dubbio il miglior strumento per calcolare il panico quando crollano i mercati: quando fallì Lehmann Brothers, nel settembre 2008, il VIX arrivò a quotare 80 punti, record mai raggiunto prima, e questo a sua volta fu alla base dell’implosione di molti hedge fund, in quanto cominciarono a vendere volatilità con il VIX a 40 sulla base del fatto che mai era andato oltre in passato.