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Nome fittizio, artista vero, che firma i suoi disegni con un fumetto nero. Conosciuto ed apprezzato per i suoi “muri”, James Kalinda ha partecipato più volte al Festival “Infart” di Bassano del Grappa, che coinvolge i principali esponenti della street art europea

Questo numero è dedicato al tema della strada. Cosa significa dipingere per strada?
Dipingere per strada è amicizia e rispetto. Dipingere per strada è avere le idee chiare anche al buio. Dipingere per strada è sfogo… non sempre è street art. Dipingere per strada era – adesso un po’ meno – avere poco a che fare con gallerie e istituzioni. Dipingere per strada è continuare a migliorarsi e sviluppare il proprio stile. Per strada non vendi un prodotto, non devi ripetere i tuoi disegni sempre allo stesso modo per compiacere una determinata clientela.
L’ anno scorso, insieme a Centina, hai realizzato il libro Atroce. Di cosa si tratta?
Atroce nasce dall’esigenza di documentare le nostre incursioni in fabbriche abbandonate. Disegnare in fabbrica vuol dire innanzitutto sporcarsi, fare molti chilometri, lavorare senza avere un tornaconto economico, ma vuole anche dire entrare in posti che hanno un fascino quasi mistico ed essere totalmente liberi di fare quello che si desidera. Il libro racconta questo e molto altro ancora, dandoci la possibilità di mostrare i nostri disegni ad un pubblico più ampio, altrimenti dovremmo organizzare delle gite (ride, ndr)… Atroce è totalmente autoprodotto da me e Centina, con il supporto di tre fotografi – Nicola Gatti, Luca Giuffredi ed Alessia Leporati – che ci hanno seguito, registrando la nascita dei nostri lavori. Nel libro non ci sono solo i disegni finiti, ma anche un dietro le quinte della lavorazione.
Dove si possono vedere le tue opere?
Sicuramente in Emilia, a Parma, Reggio, Modena e Bologna. Ma anche ad Ancona, Recanati, Roma, Milano, Genova e Torino. All’estero ho avuto occasione di lavorare a Berlino e a New York.
Ad accomunare tutti i tuoi disegni è la presenza di un fumetto nero…
Quando ho iniziato, non volevo che i miei personaggi dicessero qualcosa in particolare, ma che potessero dire tutto. Nato quasi per caso, questo fumetto è diventato nel tempo la mia firma.
Quali sono i soggetti e i temi che ricorrono nelle tue opere?
Le due tematiche principali sono la vita e la morte. La natura è sicuramente una grande fonte di ispirazione.
Hai recentemente realizzato una serie di sculture con scheletri e carcasse di animali. Di cosa si tratta?
Anni fa ho iniziato a collezionare le ossa di animali che trovo nelle fabbriche, nei boschi e per la strada. Adesso si è sparsa la voce e gli amici mi chiamano o mi scrivono mail del tipo: “Ho trovato una testa di un capriolo in un campo, la vuoi?”; oppure “Ieri andando al lavoro ho visto una volpe morta sulla strada, ti interessa?”; e ancora “Lavoro in un ristorante, vuoi una testa di maiale?”. Cose così. Allora ho imparato a pulire gli animali, studiando le diverse tecniche che usano anche i tassidermisti, poi mi son detto: facciamoci qualcosa con queste ossa… E via! Quello che mi affascina degli scheletri, e in particolare dei crani, è la loro architettura e il loro lato mistico, il loro essere ancora carichi di energia.
Muri, disegni, dipinti, sculture e anche tatuaggi. La tua ricerca si articola attraverso diversi linguaggi. Quale ambito ti permette di esprimerti con maggiore semplicità ed immediatezza?
Mi piace sperimentare, credo che sia per questo che utilizzo diversi linguaggi. Il disegno è sicuramente il fulcro attorno al quale ruota tutto il mio lavoro. I tatuaggi sono arrivati per ultimi: una tecnica che ho studiato e sto ancora studiando, ma che in breve tempo è diventata anche il mio lavoro. Sono contento di poter mettere un po’ della mia arte sulla pelle dei miei clienti. Pensare che un mio disegno giri il mondo e faccia parte della vita della persona che lo porta, mi onora e mi rende veramente fiero. Ultimamente sto comunque cercando di coniugare i diversi linguaggi in un’unica forma espressiva, identificabile nei muri, nelle tele e nei tattoo. Da qualche mese ho ricominciato anche a dipingere a olio su tela, dopo una pausa di un paio d’anni, perché il modo di lavorare che avevo non mi rappresentava più. Sto disegnando delle figure con la testa nera e i denti esposti: non mi interessa più definire occhi e nasi, non mi interessano più gli uomini, ora li voglio disumanizzare…
I tuoi compagni di viaggio?
Nel realizzare disegni sui muri capita spesso di dipingere con altre persone. Di recente ho lavorato assiduamente con Centina, Sea Creative, Re Freshink e Venticinquezerouno.
Mostre e progetti?
Ho appena esposto nell’ambito della collettiva Go with the flow, curata da Alberto Mattia Martini a Villa Bottini a Lucca. Di recente è stato inoltre inaugurato Past Forward, un progetto ideato da Giovanni Cervi ai Musei Civici di Bassano del Grappa, in occasione del festival Infart 6. A differenza delle passate edizioni, agli artisti invitati non è stato chiesto di intervenire sui muri, ma di reinterpretare un quadro del museo. A me è stato assegnato il ritratto di un medico. Ho ragionato sul fatto che, nel periodo in cui è stato realizzato il dipinto, a Bassano c’era una grave epidemia di peste, quindi ho pensato di creare un monatto. Mi sono servito di un cranio di cornacchia e di zampe di civetta per trasformarlo nel medico della peste.
Cosa fai quando non lavori?
Vado in montagna con la Signora K…