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Combina funzionalità ed eleganza. Ha storia antica. É presente in mille forme e materiali e non conosce tempo né confini. Soprattutto, è fonte di utilità anche quando non se ne fa l’uso per il quale fu disegnato. Il cavatappi è da secoli vademecum di sommelier e ristoratori, oggetto del desiderio di collezionisti e dello studio di artigiani e disegnatori. Questo elogio al cavatappi apre la riflessione sui concetti di uso, utilità e inutilità, che costituisce il filo conduttore dell’edizione 2011 di EXD, biennale di design, architettura e creatività ospitata per la sesta volta dalla città di Lisbona.

Messaggi pubblicitari incalzanti ci assoggettano a nuove, impensate necessità, intrappolando la nostra volontà nell’instancabile macchina del consumo globale. Ci circondiamo di una miriade di oggetti, piccole gioie della nostra vita di consumatori. Una famiglia, del resto, si sa, di questi tempi non tutti possono permettersela; l’esoso mantenimento dei nostri coinquilini inanimati invece sì. E poi, mal che vada, esiste sempre la possibilità di sbarazzarcene. E questa ad esempio la fine dei vecchi cellulari che siamo costretti a eliminare per accogliere nelle nostre case già stipate il miliardo e più di telefonini immessi ogni anno sul mercato.

In tempi di crisi economica, questione energetica e depauperamento ambientale, si impone tuttavia una seria questione: utile o inutile? La risposta non è scontata: il dubbio si annida nei posti più improbabili. Lo spazzolino da denti ad esempio: certamente utile. Lo spazzolino con l’impugnatura di gomma, affinché non scivoli. Lo spazzolino con setole morbide, quello con setole rigide. Lo spazzolino con l’argento vivo. Quello con meccanismo elettrico. Lo spazzolino in tutti i colori dello spettro cromatico, che sia sempre in coordinato con l’asciugamano. Utile o inutile? Il fautore della nostra igiene orale è allo stesso tempo una fonte notevole di inquinamento: 25.000 sono le tonnellate di spazzolini da denti che solo negli Stati Uniti vengono gettate ogni anno.

Sheena Iyengar, studiosa di comportamento del consumatore e autrice del libro The art of choosing, illustra come solo in alcune culture la varietà di scelta rappresenti, di fatto, un fonte di utilità per il consumatore. Nell’ambito di un’indagine condotta in vari paesi dell’ex Urss, la ricercatrice verificò come l’offerta di sette tipi differenti di soda non fosse percepita come ampia, ma come ridondante. I partecipanti non erano deliziati di poter scegliere tra prodotti marcatamente distinti agli occhi di un americano e si rassegnavano a un dispotico ultimatum: o soda o niente. Conclusione: senza un’adeguata educazione al consumo, l’utilità, cioè la soddisfazione del consumatore, non dipende dall’ampiezza del ventaglio opzionale.

Detto questo, la domanda è di natura etica e si rivolge all’industria e ai designer, in grado di manipolare il desiderio di consumo e di definire in maniera più o meno sostenibile la scelta dei materiali, la longevità dei prodotti, le soluzioni di packaging. In altre parole: è dei produttori la responsabilità di trasformare il ciclo di vita dei nostri acquisti. Che da linea con un inizio e una fine potrebbe trasformarsi in un cerchio. Questo è il modello produttivo che il chimico tedesco Michael Braungart promuove sotto il nome di cradle2cradle (dalla culla alla culla, ndr) da più di un decennio.

Ed è anche quello che, in senso lato, nel loro piccolo, gli artigiani già praticavano nei secoli passati quando elaboravano un prodotto bello, di qualità, disegnato per durare nel tempo: il cavatappi, appunto. Che da mero utensile meccanico fu in grado di reinventarsi rinascendo come prezioso pezzo da collezione. E per il quale, se dovessi inventare una pubblicità, direi: un matrimonio no, un diamante forse, ma un cavatappi è per sempre.