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Sono ormai molti anni che gli studiosi di materia manageriale si confrontano, riflettono e approfondiscono l’approccio degli individui nei confronti del gruppo, ed è un argomento destinato a far discutere per molto tempo ancora.

Porto un esempio che viene da lontano, nel tempo e nella disciplina: un testo di Girolamo Savonarola, dal Trattato sul Governo di Firenze scritto tra il 1497 ed il 1498. “Ma perché el lume dello intelletto è molto debile […]. Non può perfettamente un uomo reggere sé medesimo senza auditorio dell’altro uomo, essendo massime quasi ogni uomo particolare insufficiente per sé medesimo, non potendo provedere solo a tutti li suoi bisogni così corporali come spirituale […] e perché considerata la fragilità del corpo umano, sono necessarie quasi infinite cose per nutrirlo, aumentarlo e conservarlo, alla preparazione delle quali si richiedono molte arte, le quali serìa impossibile o molto difficile che si potessino avere insieme in un uomo solo, è stato necessario che li uomini vivino insieme, acciò che ognuno aiuti l’altro, dando opera alcuni a un arte e altri a un’altre, e faccendo insieme tutto uno corpo perfetto di tutte le scienzie e l’arte”.Questo testo mi ha fatto riflettere perché sostiene che sia la necessità che ci spinge a stare in gruppo. E se è vero che prevale la logica della necessità, è comprensibile che ci si accosti al gruppo con qualche pretesa che gli altri facciano qualcosa per noi.
A questo testo mi viene da accostare un punto di vista che considero interessante, espresso dal mitico Kennet Blanchard nel libro Essere Leader, in cui afferma che, in ambito professionale le persone si accostano all’entità azienda scegliendo un atteggiamento orientato al dare, oppure orientato al ricevere. Questo diverso orientamento è dinamico e può cambiare anche in periodi molto brevi. Una persona che si sente soddisfatta della sua situazione personale nella sua globalità, si accosterà all’azienda con un approccio orientato al dare: sarà propositiva, paziente e rispettosa degli altri. Se invece la sua situazione personale cambia ed evolve verso una leggera insoddisfazione, ecco che la stessa persona cambia approccio, ed entra in quello del ricevere: si attenderà il contributo dagli altri, avrà meno pazienza e, forse, calerà un po’ il suo rispetto verso gli altri. Nel primo caso il protagonista è il gruppo, nel secondo caso è l’individuo.

Una riflessione che mi viene da porre è che se si considera la partecipazione ad un gruppo come una necessità per colmare lacune o mancanze del singolo, sarà più facile avere un approccio spostato verso il ricevere, mentre se si considera la partecipazione ad un gruppo come una scelta, ecco che sarà più facile avere un approccio decisamente orientato al dare.
Credo sia stimolante chiederci a quali gruppi apparteniamo per scelta ed a quali gruppi apparteniamo per necessità, e cercare anche di analizzare quali differenze notiamo nel nostro modo di vivere in questi gruppi.

Anni di attività come dirigente e, più di recente, come consulente e coach, mi confermano che i gruppi che funzionano meglio sono quelli costituiti per scelta dei partecipanti, non quelli costruiti per volontà aziendale. Il Coaching si applica nell’area professionale, ma lavora su aspetti personali e caratteriali, in modo che la persona acquisisca consapevolezza dei propri punti di forza per infondere nuove energie positive nel cammino per raggiungere gli obiettivi che si è posto. E in questo percorso ho scoperto che anche la persona considerata più difficile, al di fuori del lavoro, appartiene a gruppi di volontariato, ad associazioni, a gruppi sportivi e/o culturali, dove infonde energie, fiducia, rispetto, testimoniando dunque un approccio al dare molto sviluppato e molto importante per gli altri.
Esperienze di questo tipo mi fanno ritenere che un imprenditore, un dirigente, un capo a qualsiasi livello debba lavorare per far si che il suo team scelga di fare alcune attività in gruppo, in modo condiviso: chi riuscirà a far sì che le persone vivano il team come una scelta potrà porsi obiettivi qualitativi e quantitativi che nemmeno si immagina, il tutto in un clima di soddisfazione e rispetto tra le persone che rende l’attività professionale più coinvolgente e certamente più leggera.

Il Coaching ed il Team Coaching aiutano, ma sono soltanto strumenti, non una bacchetta magica, e vanno applicati quando la mentalità del capo è orientata a far crescere le persone, oltre che l’azienda: possono essere strumenti utili al capo per aiutare se stesso a questo cambio di mentalità, che potrebbe infondere nelle persone nuove energie positive che si concretizzeranno in un costante atteggiamento orientato al dare, con evidenti ottime conseguenze sul clima e sui risultati dell’azienda.

One Comment

  • Daniele Ficco ha detto:

    Trovo che passare dal Savonarola al Blanchard sia davvero….geniale!!!
    L’analisi sul dare e avere partendo da delle basi solide di storia sociale e storia economica mi ha sorepreso veramente. Mi ha fatto riflettere anche a livello personale. Penso che l’assetto del dare e avere siano 2 aspetti importanti sia tra un individuo e la società, ma anche tra due soli individui.

    Qui credo che crolli un credo che penso sia tutt’ora radicato nelle imprese e che vedo preponderante in alcuni settori della nuova formazione universitaria. Il fare gruppo con gente con la quale non si vuole avere niente a che fare.

    Mi chiedo in questo contesto la competizione come si inserisca.

    Forse è questo elemento che mi sentirei di aggiungere a questo articolo creativamente impeccabile.

    La competizione si basa su due assetti del riecevere. Nessuno da, anche se si impegna al massimo. Non amo la competizione e creo che quando ce ne è tanta in un settore vadano cambiate le regole del gioco.

    L’unico modo che hai per trovare il tuo spazio senza emarginarti è trovare nuove strade e far partire la maratona mentre tu ti attardi un secondo su un balcone più alto.

    Osservando quante energie vangano spese per darsi gomitate e non concentrando i propri sforzi su quello che si ha da offrire.