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Flickr, LinkedIn, Facebook, Xing, Twitter, Last.fm, YouTube. Un rebus che i social media sciolgono con una parola magica: trasparenza. Trasparente è il web 2.0, sul quale gli utenti sono a spasso con nome e cognome e, proprio come nella vita reale, hanno una reputazione da difendere. Quali informazioni sono associate al proprio nome dai motori di ricerca? Una domanda che potrebbero porsi amici, agenzie assicurative, datori di lavoro, concorrenti. E c’è già chi può fornire una risposta: Yasni, fondata a Francoforte sul Meno nel 2007, e 123people, iniziata a Vienna lo stesso anno, sono siti di data mining, che sfruttano la trasparenza del web 2.0 per raccogliere informazioni rilevanti sui singoli utenti e tracciarne un profilo il più possibile esaustivo, dal numero di telefono al genere di lettura preferito.

Funzionano come veri e propri motori di ricerca personali, riportando una serie di link corrispondenti al nome cercato. Il tutto all’insegna della legalità, poiché nella stragrande maggioranza dei casi le informazioni disponibili su Internet sono immesse volontariamente dagli utenti stessi. Il numero crescente di visitatori, occasionali e registrati, nell’ordine di milioni, i fatturati vertiginosi tra pubblicità, servizi aggiuntivi e cooperazioni, così come la proliferazione di concorrenti sul mercato globale sono indici di un buon bacino di domanda per tale servizio.

Gli individui tuttavia non pubblicano solo dati personali: capita di trovare commenti critici di clienti insoddisfatti, dipendenti licenziati, concorrenti agguerriti che possono macchiare in maniera indelebile la reputazione di terzi e imprese.

Internet ha una memoria da elefante e la prontezza di un puma: le informazioni sul web si diffondono rapidamente e vani sono i tentativi per eliminarle definitivamente. Esistono tuttavia tecniche con le quali manipolare il ranking dei risultati ottenuti, promuovendo associazioni favorevoli e facendo slittare in secondo piano associazioni sgradite. Si parla qui di online reputation management. E di agenzie di consulenza che sono in grado di mettere a lustro la reputazione di liberi professionisti e imprese.

Molte imprese invece preferiscono internalizzare e si dotano quindi di nuove figure che hanno la funzione di monitorare, gestire e, nel caso, reindirizzare il flusso di informazioni che si dipana sui social media. Lo studio Social Media Governance 2010 ha evidenziato come, in Germania, il 54% delle aziende sia già dotata di un Online Reputation Manager, in grado di fronteggiare rischi quali: perdita di controllo sui nuovi canali di comunicazione, mancata prontezza di reazione alle critiche online e divergenza dell’immagine aziendale da quella proposta tramite gli approcci comunicativi tradizionali.

Per i singoli individui una buona soluzione rimane il vecchio monito della nonna di “lavare i panni sporchi in casa”, sempre attuale. Del resto non è che il reputation management sia un problema nuovo: il villaggio di provincia si è semplicemente trasformato in un villaggio globale.