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Lo scorso 23 agosto l’Ocse ha reso noto i dati sulla crescita economica relativi al secondo trimestre 2011, che vedono un rallentamento.
Il rilevamento Ocse, tuttavia, mostra segnali positivi per Italia e Stati Uniti, che nel primo trimestre avevano fatto segnare una crescita molto bassa (+0.1%), mentre ora si attestano a +0.3%, il dato più consistente di tutta l’area. Italia e Stati Uniti, poi, sono gli unici paesi ad avere il PIL che avanza più che nel primo trimestre. Peraltro, i dati diffusi dall’Ocse danno un’idea plastica della delicatezza del momento, in tutto il mondo e, in particolare, in quello occidentale. In Germania, il segno positivo si attesta a +0,1% (+1,3% nel primo trimestre), mentre in Francia, resta fermo (+0,9% nei primi tre mesi).

In altri termini, la flebile crescita del primo semestre, nel terzo e, ancor più, nel quarto trimestre dell’anno rischia di arenarsi. E dunque?
“Una forza di grande potenza, la tecnologia spinge il mondo verso modelli sempre più uniformi e convergenti. Questa forza ha reso accessibili a tutti le comunicazioni, i trasporti, i viaggi. Essa ha fatto sì che anche nei luoghi più isolati e fra le popolazioni più povere sia arrivato il richiamo del mondo moderno. Praticamente ogni uomo della Terra desidera tutte le cose di cui ha sentito parlare o che ha potuto vedere o sperimentare grazie alle nuove tecnologie. Da tutto ciò, nasce una nuova realtà commerciale e cioè l’emergere dei mercati globali per i prodotti di consumo standardizzati di dimensioni inimmaginabili in precedenza”(4): così, scriveva, nel 1983, Theodore Levitt, al quale è riconosciuto di avere, così reso popolare, nel senso che intendiamo oggi, il termine ‘globalizzazione’.

Nella sempre crescente globalizzzazione della concorrenza, si assiste a un importante paradosso: sebbene le imprese siano oggi in grado di muoversi su diversi piani nel mondo intero, la localizzazione gioca un ruolo cruciale per il vantaggio competitivo.
Nell’ambito della competizione globale, non c’è un unico modello di comportamento, ma molti, basati sulle differenti caratteristiche di ogni industria.
Le imprese, sia nazionali sia globali, devono individuare e comprendere quale è la loro struttura, quali sono le loro risorse competitive e analizzare la concorrenza. L’impresa globale differisce da quella nazionale per il fatto di avere maggiore possibilità di scelta in due dimensioni: come configurarsi e come coordinarsi. Secondo il vecchio paradigma economico, efficienza statica/basso costo/economia di scala sono le chiavi del vantaggio competitivo. Secondo il nuovo paradigma economico, il vantaggio competitivo deriva dal processo d’innovazione e l’unico modo per mantenerlo è continuamente innovare e aumentarlo. Questo nuovo paradigma implicitamente chiama a riconsiderare la propria strategia d’impresa: fissare gli obiettivi; creare un’organizzazione innovativa; selezionare industrie e segmenti. Processo che richiede, soprattutto oggi, la necessaria valutazione delle eventuali buone ragioni di una internazionalizzazione.

Il concetto di globalizzazione è frequentemente confuso con quello di internazionalizzazione, ma si tratta di due fenomeni completamente differenti. L’internazionalizzazione si riferisce alla crescente importanza del commercio internazionale, delle relazioni internazionali, dei trattati internazionali, delle alleanze internazionali, degli accordi internazionali ecc. ‘Inter’ – ‘nazionale’ significa, evidentemente, ‘tra’ – ‘nazioni’. L’unità di base rimane, dunque, la nazione, anche se le relazioni tra nazioni si fanno via via più necessarie e importanti.
La globalizzazione si riferisce invece alla integrazione economica globale delle economie nazionali, appunto, in un’unica economia globale, principalmente attraverso la mobilità del libero commercio e del libero capitale, ma anche attraverso una facile, quando non incontrollata, migrazione. Si tratta, in altre parole, della erosione, nel concreto dei fatti, dei confini nazionali per scopi economici. Il commercio internazionale, governato dal vantaggio comparativo, diventa commercio interregionale, governato dal vantaggio assoluto. Quelli, che erano tanti, diventano uno. Nell’attuale contesto economico, le ragioni per l’internazionalizzazione di un’impresa si determinano innanzitutto dall’esistenza, rispettivamente, di opportunità oltre ovvero minacce entro i confini nazionali.

Espandersi all’estero significa una serie di cose molto diverse tra loro, in termini di vantaggi e ostacoli: un aumento delle vendite e dei profitti con una riduzione dei costi e una ripartizione del rischio economico su un maggior numero di mercati; una maggiore capacità di accesso a canali di distribuzione e nuove tecnologie; difficoltà di comunicazione; restrizioni da parte del Governo ospite; confronto/scontro con la diversità culturale; esposizione al rischio del tasso di cambio; difficoltà di gestione dell’autonomia finanziaria dell’unità locale; offerta di prodotti standardizzati in più di un mercato; condivisione di esperienza e risorse in più Paesi, con conseguente moltiplicazione dei vantaggi; scelta e diversificazione della localizzazione dei diversi segmenti dell’attività; differenziazione su scala globale per servire compratori multinazionali ecc
Una pianificazione strategica volta all’internazionalizzazione richiede, dunque, di considerare se e quale tipo di cambiamento di politica e struttura d’impresa si riveli necessario o, anche solo, opportuno, attraverso l’analisi della legislazione e regolamentazione di riferimento, da compiersi nella ulteriore considerazione della realtà locale oggetto di indagine e, in particolare, dei cinque fattori di stabilità politica: moneta, infrastrutture, efficienza di management, economia e fisco. Questa analisi individua un’area di indagine estremamente vasta, che comprende, fra gli altri, gli aspetti dello statuto d’impresa; delle modalità di accesso e ingresso nel mercato straniero; dei rapporti di lavoro, salute e sicurezza; del consumatore; della concorrenza; delle licenze di marchio, brevetto, copyright e, in genere, proprietà industriale e intellettuale; dell’import-export; degli strumenti finanziari; della produzione; della distribuzione; delle alleanze e partnerhips locali ecc
Le caratteristiche, che molte delle imprese multinazionali possiedono, sono, fra le altre: filiali estere organizzate in modo del tutto completo, sia sotto il profilo industriale sia sotto il profilo commerciale, coprendo ricerca e sviluppo, manifattura, attività di vendita e post-vendita; coinvolgimento in vari Paesi e a differenti livelli di sviluppo economico e politico; formulazione di un’unica e universalmente accettata e compresa politica di guida e direzione delle filiali straniere in vista dei dichiarati scopi e obiettivi.

Il perché le multinazionali posseggano questi distintivi vantaggi è chiaro: efficacia nel muovere e controllare le risorse a disposizione; migliori opportunità di economia di scala, grazie alle dimensioni della produzione e agli orizzonti di mercato; disponibilità di una consolidata esperienza in tema di pianificazione strategica, ricerca di mercato, finanza, produzione, marketing; disponibilità di alti livelli tecnologici, con conseguente facilità di stretto contatto con e fra le filiali estere. E’ necessario distinguere tra concorrenza globale, affari globali, imprese globali.
Per un’impresa, entrare in un nuovo e diverso mercato locale significa sviluppare un’apposita serie di prodotti, risorse, vantaggi e attività di gestione. Il successo dell’iniziativa dipende da come l’impresa: usa le informazioni; accede alle risorse; supera le barriere di ingresso al mercato; accede al mercato. Determinante per lo sviluppo di una strategia globale è quanto e come la strategia stessa sarà standardizzata nei vari Paesi di operatività. Infine, quattro concetti-chiave: creazione, competizione, cooperazione, capacità di adattamento e assimilazione.
E, dunque: forza! Spazi di crescita ce ne sono ancora. E tanti! Potenzialmente, senza limiti. Lasciatevi guidare dall’immaginazione e dal lavoro come suggeriva lo stesso Levitt…