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Impresa, innovazione, ricerca: è possibile una nuova sinergia?

Di 12/05/2010Marzo 15th, 2023No Comments

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(Dipartimento di Diritto dell’Economia, Università di Siena)

In occasione dell’ultimo convegno di Confindustria, tenutosi a Parma, si è parlato tra le altre cose di innovazione, sottolineandone l’importanza vitale in un’ottica di ripresa dell’economia e di espansione in un mercato sempre più globale e competitivo. Queste considerazioni inducono a fare una riflessione sul livello relativamente basso di innovazione presente nell’economia italiana e alle necessarie misure da adottare per ottenere un reale cambiamento di rotta. Preliminarmente va osservato come, purtroppo, l’Italia sia pressoché esclusa da alcuni settori chiave dell’economia del prossimo futuro, ovvero quei settori ad alta sofisticazione tecnologica (il cosiddetto segmento hi-tech), quali l’informatica e il software, le nanotecnologie e – anche se in misura leggermente minore – le biotecnologie.

Bisogna prestare molta attenzione alle imprese che dominano questi settori, in quanto saranno quelle che presumibilmente influenzeranno in modo decisivo non solo i trend del mercato ma anche le nostre vite negli anni a venire. Pensiamo infatti solamente all’impatto che hanno avuto fino ad oggi internet e i nuovi mezzi di comunicazione telematica su qualsiasi attività imprenditoriale e sulla capacità di ogni singola persona di raccogliere su scala mondiale informazioni prima difficilmente accessibili. Pensiamo di conseguenza all’impatto che potranno avere in ambito produttivo, medico e commerciale l’introduzione, ad esempio, di macchine in grado di operare a livello molecolare, di sistemi di codificazione informatica in grado di rendere le transazioni telematiche sempre più anonime e sicure, di software gestionali sempre più sofisticati, nonché la presenza sul mercato di prodotti alimentari manipolati geneticamente in modo da eliminare ogni effetto collaterale connesso al loro consumo.

Certo, tali innovazioni sono allo stesso tempo portatrici di nuove speranze e nuovi timori: sicuramente, accanto ai benefici che apporteranno alla vita umana, porranno nuovi problemi coi quali i governi e i legislatori di tutto il mondo dovranno confrontarsi. Ciononostante, in questa tendenziale incertezza futura, un dato è certo: le imprese che disporranno di tali tecnologie saranno i futuri leader dell’economia mondiale. L’Italia, se vuole cercare di migliorare la propria posizione e quantomeno fare il proprio ingresso anche solo come attore secondario in questi mercati, necessita di nuove riforme e nuove sinergie, che debbono essere sviluppate prendendo a modello i paesi che oggi sono maggiormente all’avanguardia.

Per creare nuovi settori imprenditoriali è in primo luogo necessario che le imprese compiano investimenti massicci e mirati in ricerca. Come ben sappiamo, l’Italia da questo punto di vista rappresenta un paradosso: come paese formiamo infatti un numero elevato di ricercatori di talento, che non trovando in patria una collocazione professionale competitiva e adeguatamente remunerata, sono in massima parte assunti da imprese straniere, che divengono così proprietarie del loro know-how e dei brevetti che essi produrranno. Per prima cosa è quindi necessario che le università siano sempre più interconnesse con il mondo delle imprese: le prime privilegiando ambiti di ricerca ad alto potenziale applicativo e non meramente autoreferenziali, le seconde aprendo i portafogli e contribuendo all’allestimento di progetti di ricerca ben finanziati e gestiti con criteri di efficienza.

In una simile prospettiva, altri due grandi attori del mercato potrebbero fare la differenza, facilitando la realizzazione di tale sinergia: lo Stato e le Banche. Il primo potrebbe infatti porre in essere una seria politica economica che incentivi il consolidamento di tali segmenti imprenditoriali, per esempio tramite una seria politica di sgravi fiscali per le imprese che decidano di compiere investimenti importanti nei settori hi-tech. Le seconde potrebbero semplicemente assumere il loro consueto ruolo di finanziatori, volgendo un’attenzione particolare alla prima fase del processo sinergico e fornendo così le risorse iniziali necessarie alla costituzione di nuove imprese hi-tech (c.d. start-up capital). Infine va sottolineato che le imprese, spesso troppo piccole per sostenere da sole simili investimenti, possono a tutt’oggi contare su un’ampia serie di strumenti associativi finalizzati a costituire strutture indipendenti più grandi e più solide per addentrarsi in nuovi settori (si pensi solo a strumenti giuridico-associativi quali i vari tipi di joint-venture o di consorzio, ovvero strumenti contrattuali quali le associazioni temporanee di imprese).

Posto quindi che gli strumenti per intraprendere un’incisiva politica di innovazione sono teoricamente disponibili, va aggiunto che tutti i soggetti coinvolti debbono anche cambiare la propria mentalità, reinventarsi sulla base di quello che richiedono in nuovi mercati, abbandonare approcci conservatori e strategie di impresa consolidate da generazioni per esplorare nuovi scenari economici. Probabilmente quest’ultimo passo si preannuncia uno dei più difficili da compiere, ma è tuttavia un passo necessario se si vuole fare ottenere all’Italia un posto da attore principale e non solo da comparsa nell’economia globale dei prossimi decenni.